ANNA ZAFESOVA, La Stampa 10/7/2010, pagina 14, 10 luglio 2010
QUELLE LIMOUSINE MANDATE DAL KGB SUL PONTE DELL’INTRIGO
L’ambasciatore Usa in Germania mi ha preso sotto braccio e mi ha condotto sul ponte. Ho chiesto dov’era il confine. ”La vedi quella linea bianca? lì”. Che bello, esclamo, faccio un salto verso quella linea, verso la libertà, e in quel momento la corda che mi teneva i pantaloni si rompe». Nel ricordo di Natan Sharansky, la passeggiata sul ponte di Glienicke che l’ha trasformato in pochi passi da dissidente e detenuto sovietico in eroe e politico occidentale, è venata di toni tragicomici. Era la prima volta in nove anni di prigionia che gli veniva permesso di indossare abiti civili, per presentarlo ai media del nemico - ammessi eccezionalmente a filmare il suo baratto con cinque 007 dell’Est - con un certo decoro. Ma il vestito e il colbacco dai magazzini del Kgb erano troppo grandi, e per ovviare al problema Sharansky era stato fornito solo di una corda: «Il mio primo pensiero da uomo libero? Non perdere i pantaloni».
Un aneddoto quasi divertente, forse perché raccontato con l’ironia un po’ yiddish, forse perché era l’11 febbraio 1986, al Cremlino c’era già Gorbaciov. Ma la prima volta che il ponte di Glienicke venne usato per lo scambio di spie, il 10 febbraio 1962 - a venire scambiati erano la spia sovietica Rudolf Abel che aveva passato cinque anni in una prigione Usa senza mai rivelare il suo vero nome, e Gary Powers, il pilota di un U2-spia abbattuto sugli Urali due anni prima - l’atmosfera fu ben diversa. Il ponte chiuso al traffico sul fiume tra Berlino Ovest e la Ddr era l’unico punto sulla terra dove i due nemici nella guerra fredda quasi si sfioravano, terra di nessuno tra mondi diversi, passaggio che si apriva solo eccezionalmente, per scambiare i prigionieri, in una contabilità politico-spionistica che ne valutava il peso in base al clamore suscitato dalle loro vicende, ai ricatti reciproci e all’utilità che potevano ancora avere. Abel e Powers erano due figure simbolo, entrambi catturati nel retrovia nemico. «Una scena statica, irreale. Due gruppi di persone in cappotti invernali, fermi sul ponte, divisi da una linea bianca che simboleggiava la cortina di ferro. Poi, nello stesso momento, si mossero, salirono su limousine con le tendine sui finestrini che partirono via come razzi», racconta la giornalista della Reuters Annette Von Broecker, unica testimone dell’operazione.
Una geometria perfetta, che si è impressa nella memoria di Abel al punto da suggerirne la riproduzione, nel 1968, nel popolarissimo spy-movie sovietico «La stagione morta», ispirato alla sua storia. Una delle scene più celebri del cinema sovietico: tre auto nere che compiono, perfettamente sincronizzate, un’inversione per schizzare via, portando in salvo la spia sovietica. Hollywood invece ambientò sul ponte di Glienicke «Funerale a Berlino», con Michael Caine che come uomo della Cia cerca di far fuggire un russo nascosto in una bara. Ma ci furono anche scambi all’ingrosso, come quello del 12 giugno 1985, organizzato in fretta e furia per scambiare 23 agenti reclutati dagli americani con la spia polacca Marian Zacharski e tre suoi colleghi. Altro che limousine, pulmini zeppi di agenti falliti. L’ultimo ad attraversare il «ponte delle spie» fu però Sharansky. Tre anni dopo il ponte sarebbe stato riaperto al traffico dei comuni mortali: il muro non c’era più.