Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  luglio 10 Sabato calendario

PECHINO VUOL FARE IMPARARE IL CONSUMISMO AI CINESI

I milioni di poveri delle aree interne della Cina che, negli scorsi decenni, sono stati brutalmente spostati verso le grandi città costiere (come Shanghai, Pechino, Canton e Hong Kong, per fare qualche nome) per costruire le nuove megalopoli lampeggianti come Las Vegas, sono stati, sinora, il solido motore dello sviluppo economico cinese. Questa immensa manodopera a bassissimo costo, senza protezioni sindacali di alcun tipo, assumibile e licenziabile istantaneamente, adesso vuole tirare il fiato e, soprattutto, vuol partecipare al benessere che vede ogni giorno davanti agli occhi, specie nelle grandi città. I leader del Pcc di Pechino hanno capito che il modello di sviluppo che sinora ha funzionato egregiamente e che era quasi esclusivamente basato sull’espansione forzata delle esportazioni, va integrato (e quindi corretto) con l’aumento della domanda interna. Non è, questo, un gesto di generosità verso i cinesi ma è una semplice necessità macroeconomica e geopolitica. Infatti, la crisi economica e finanziaria internazionale, diffondendo in tutto il mondo la paura per il futuro, seminando la disoccupazione e facendo saltare molte imprese, ha ridotto i consumi nel mondo sin qui sviluppato. E ha ridotto così anche la domanda di beni e servizi cinesi. Pertanto, se la Cina vuol continuare a crescere (e, a questo punto, non ne può fare a meno) essa deve cercare di sostituire quella parte di domanda internazionale che è venuta meno, a causa dell’avversa congiuntura, con un almeno corrispondente aumento della domanda interna. Quest’ultima, inoltre, serve anche da risarcimento parziale nei confronti di chi, in Cina, ha costruito grattacieli e fatto andare le fabbriche e che, se continuasse a essere tenuto nel sottoscala sociale, potrebbe stancarsi di questo suo destino da dannato della terra e innescare un corto circuito di proteste che potrebbero sfociare anche in sommosse. Da qui la decisione di Pechino di lasciare aumentare i salari e di sganciare la valuta cinese (il renmimbi) dal dollaro. Un renmimbi più caro rispetto al dollaro si traduce in un aumento del prezzo (in dollari) dei prodotti esportati ma anche nella diminuzione del prezzo delle merci delle società occidentali che, a questo punto, potrebbero essere acquistate a più buon mercato da parte dei cinesi i quali, anziché investire in valute (dollari ed euro, soprattutto) cominceranno a investire in società occidentali. Insomma, il modello cinese sta cambiando pelle. Alla velocità del fungo cinese. Mentre il resto del mondo sviluppato gira su se stesso, incapace di riconoscere quale sia la strada opportuna sulla quale incamminarsi.