Salvatore Carrubba, Il Sole-24 Ore 10/7/2010;, 10 luglio 2010
LA CRUNA DELL’AGO
Tornare a una santa sobrietà, segno di giustizia ancora prima di virtù, è l’illuminante suggerimento dell’arcivescovo di Milano che, peraltro, s’ispira e ripete quanto già detto a suo tempo dal suo lontano predecessore Sant’Ambrogio. Mentre il Vangelo scoraggia la smisurata accumulazione di ricchezze, non solo perché l’avidità è un grave peccato, ma anche e soprattutto perché sintomo di poca fede nella provvidenza divina. Allora è possibile preferire le attuali distorsioni (compensi smisurati e premi illimitati) alla mancanza di libertà, ma è vietato definirci cristiani fin quando, non per legge imposta, ma per scelta consapevole di giustizia, prima che di amore vicendevole, nessuno pretenderà più del necessario.
Lettera firmata
S appiamo cosa succederà al ricco quando dovrà passare dalla cruna dell’ago, ma anche che nulla è impossibile alla misericordia del Signore. Anche per questo, forse, la Chiesa non condanna la ricchezza in sé: se mai, deplora come la si è guadagnata, come la si impiega, se essa assurga a unico obiettivo per l’agire umano. Anche l’ultima enciclica sociale
Caritas in Veritate riconosce, e non è la prima volta, i benefici del mercato, pur sottolineando che, per la Chiesa, l’aspetto redistributivo è decisivo, in quanto «senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica». Il ricco credente queste cose le sa e si dà da fare, anche col proprio stile di vita, per metterle in pratica. Senza bisogno di interventi autoritativi per dare un senso alla propria vita e alla propria fortuna.