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 2010  luglio 09 Venerdì calendario

DEL BOSQUE LA NONNETTA CHE FACEVA IMPAZZIRE BERNABEU

I baffi sono gli stessi. I capelli sono una memoria antica, quelli lunghi poi, antichissima. Don Santiago Bernabeu non gradiva che i suoi dipendenti por­tassero – bigotes y pelo de revolucion ” ma Vicente Del Bosque era tra i suoi fa­voriti. Lo chiamavano la ”nonnetta”, tec­nica y tecnica y tecnica , questo era il foot­ball che il ragazzo di Salamanca sapeva frequentare. Un giorno, Miguel Muñoz (un personaggio che, lo dico per i con­temporanei convinti che il calcio sia na­to con la televisione, vinse con il Real Madrid, da giocatore quattro campio­nati e due coppe dei Campioni, e da alle­natore nove campionati, due coppe dei Campioni, una coppa Intercontinenta­le) interruppe l’allenamento e disse ad alta voce: «Adesso vediamo quello di Sa­lamanca che ha un culo che sembra donna Maria», la quale donna Maria era la moglie del presidente, don Santia­go Bernabeu, il primo e l’unico al mon­do cui è stato intitolato, da vivente, lo stadio di football. Il ragazzo veniva da Salamanca ed aveva vissuto un’infan­zia difficile. Suo padre Firmim, era un ferroviere, i fatti del luglio del Trantasei avevano rivoltato la Spagna, Firmin del Bosque non aveva manifestato alcun gradimento per il nuovo regime, anzi. Per questo si era ritrovato senza lavoro e spedito in un campo di concentra­mento vicino a Munguia.
Vicente era il secondo figlio di Firmin e di Carmen, suo fratello, Firmin di no­me pure lui, sarebbe morto di melano­ma all’età di quarantasei anni. Il padre recuperò il posto di lavoro, la famiglia aveva bisogno di pane e di speranza, Vi­cente così è cresciuto, la memoria di Fir­min resta fortissima ed è stata decisiva in un’altra storia infelice. Vicente ha sposato Carmen, una bionda di Tole­do, tre sono i figli, l’ultimo, Alvaro, è af­fetto dalla sindrome di Down.
«Il suo do­lore, la nostra sofferenza, è servita a rela­tivizzare i problemi, a capire che in fon­do la vita ha altre priorità, altri ostacoli, altri doveri. E oggi siamo felici, Alvaro lo è e così i suoi fratelli».
Vicente del Bosque così ha detto a En­rique Ortego, giornalista e amico, spie­gando che il football, insieme con la fa­miglia, rappresenta il suo impegno ma che dopo ilfootball stesso c’è lavita,più importante di tutto il resto. Sembrano parole di circostanza, sono la chiave per comprendere l’uomo e il professio­nista. L’idolo della sua infanzia fu San­tiago Martin detto El Viti, era un torero; Vicente, nel quartiere Garrido di Sala­mamca, recitava la sua corrida, erano orejas y ovaciones . Avrebbe voluto fare il maestro, gli studi gli regalarono que­sto diploma. Capì che il pallone sareb­be stato non soltanto un giocattolo. Tifa­va per l’Athletic di Bilbao prima di sco­prire la capitale. A diciassette anni, do­po un paio di avventure con il Castellon e il Cordoba, arrivò al Real. Tecnica y tec­nica y tecnica , incominciò a centrocam­po, come metronomo del gioco, la sua avventura di calciatore: cinque campio­nati vinti, quattro coppe di Spagna; e quella di allenatore: due campionati, due coppe dei Campioni, una super­coppa di Spagna, una coppa Interconti­nentale, una supercoppa Uefa.
A sessant’anni la ”nonnetta” conser­va i ”bigotes” dei bei tempi, non alza la voce, ha la faccia dell’uomo comune, un po’MaurizioCostanzo,un po’ Pupo De Luca, musicista jazzista di un tempo bellissimo, una faccia normale, anche buffa che non piaceva a Florentino Pe­rez il presidente che tutto prende e nul­la vince. Lo licenziò su due piedi, dimen­ticando tutta quell’argenteria portata­gli in dote, per assumere Fabio Capello. Domenica a Johannesburg, Vicente si liscerà il baffo ma non guarderà verso la tribuna per vedere se don Florentino si nasconda tra gli ospiti. Preferirà pensa­re ad Alvaro, quello che in collegio met­te in fila i compagni di classe e firma au­­tografi, con il nome di papà: Vicente del Bosque, quello che viene da Salamanca e aveva il culo che sembrava donna Ma­ria. Adesso va a giocarsi il titolo di cam­pione del mondo.