Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  luglio 09 Venerdì calendario

LA VERA STORIA DEL CONTE DI MONTECRISTO

Quanti misteri può nascondere fra le sue pagine ancor oggi Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas (1802-70)a 166 anni dalla sua pri­ma pubblicazione? A sfogliare la nuova edizione curata dallo stu­dioso Claude Schopp e per l’edi­zione italiana da Gaia Panfili, non si può che rimanere stupiti dalla quantità di rivelazioni ri­guardanti questo romanzo (Do­nelli, pagg. LXXII-1130, euro 32). Anzitutto l’editore Carmine Don­zelli, come racconta in una nota al volume, si è accorto che prati­camente tutte le edizioni del ro­manzo di Dumas uscite in Italia fino ai giorni nostri fanno riferi­mento a un’unica prima tradu­zione: quella realizzata nel 1869 da Sonzogno. Praticamente nes­s­uno si è mai preoccupato di veri­ficare il testo originale (ripropo­s­to ora per la prima volta integral­mente) tanto che nelle più recen­ti edizioni Rizzoli (1984) e Mon­dadori ( 2003) i curatori hanno do­vuto praticamente inventarsi una sorta di traduttore ufficiale di quella edizione, attribuendo a un certo Emilio Franceschini la primigenia traduzione. Donzelli attribuisce l’evento al fatto che Dumas è stato in Italia spesso un autore sottovalutato o valutato in maniera parziale da critici come Benedetto Croce e Antonio Gramsci e ricorda che solo Italo Calvino con il suo racconto apo­crifo «Il Conte di Montecristo» contenuto nella raccolta T con Ze­ro (1967) si sia preoccupato di analizzare la fuga di Edmond Dantès e il suo rapporto con l’Abate Faria.
Ma sfogliando l’introduzione alla nuova edizione del capolavo­ro di Dumas, scopriamo moltissi­me altre curiosità sull’origine e gli sviluppi di questo appassio­nante feuilleton . Scopriamo che il nome «Monte Cristo» deriva dall’omonima isola dove loscrit­tore francese condusse in gita il principe Girolamo Napoleone Bonaparte. Ed è lo stesso Dumas in una presentazione del 1857 ai lettori intitolata Un mot a propos du Comte de Monte-Cristo a ga­rantire a se stesso l’attribuzione dell’opera, stufo di sentirla asse­gnare a qualche suo collaborato­re: «Grande è sempre stata l’an­sia di sapere come fossero nati i miei libri, e soprattutto chi li aves­se creati. Era così semplice pensa­re che fossi stato io, che a nessu­no è venuto in mente. In Italia, per esempio, è opinione diffusa che Il Conte di Montecristo sia opera di Fiorentino. Perché nes­suno crede che La Divina Com­media l’abbia scritta io?
Potrei ac­campare altrettanti diritti! Fioren­tino avrà letto Montecristo come tutti gli altri, ma di certo non lo ha letto prima di tutti gli altri posto che lo abbia letto. Gli italiani avranno un bel reclamare la pa­ternità di Montecristo , gli tocche­rà accontentarsi de L’assedio di Firenze di D’Azeglio e de I promes­si sposi di Manzoni». E se quindi Pier Angelo Fiorentino (che però realmente collaborò con lo scrit­tore francese) non potrà più van­tarsi di avere creato questo ro­manzo, d’altra parte Dumas am­mette che in origine la sua opera era nata con un altro intento, ov­v­ero come semplice continuazio­ne dei suoi diari di viaggio. La tra­ma originaria era priva di alcuni degli sviluppi avventurosi che as­sumerà in seg­uito visto che dove­va parlare semplicemente di «un signore ricchissimo che risiede a Roma e che ha nome Conte di Montecristo che rende un impor­tante servigio a un giovane viag­giatore francese e, in cambio di ta­­le servigio, lo prega di fargli da gui­da­quando a sua volta visiterà Pa­rigi (...) Nelle sue scorribande per Parigi, il Conte di Montecristo avrebbe dovuto scoprire i nemici occulti che in gioventù lo aveva­no condannato a una prigionia di dieci anni. Il suo patrimonio gli avrebbe fornito i mezzi per la ven­detta... ».
Probabilmente se il plot fosse ri­masto semplicemente questo, Il
Conte di Montecristo non sareb­be stato in grado di rivaleggiare con un superbestseller come I Tre Moschettieri . Alexandre Du­mas racconta così ai suoi lettori che fu il suo fido collaboratore Au­guste Maquet ( che operò su tutto il ciclo dei Moschettieri ma an­che su Il tulipano nero e La regina Margot ) a dare la chiave di volta al libro. Marquet infatti davanti al­la­sinossi prevista del romanzo re­plicò: «Credo che trascuriate il pe­riodo più interessante della vita del vostro eroe, ovvero gli amori con la catalana; il tradimento con Danglars e Fernand e i dieci anni di prigionia assieme all’Abate Fa­ria ». Dumas capì così che la sto­ria doveva essere articolato su tre città principali, ossia Marsiglia, Roma e Parigi, e rivoluzionò l’in­tera concezione dell’opera, par­tendo dalla caduta in disgrazia di Edmond Dantès e dalla successi­v­a sua reclusione nel castello d’If.
Se Dumas avesse dovuto scrivere un anno dopo quella stessa lette­­ra ai lettori, probabilmente avreb­be cancellato il nome di Maquet. Infatti, fra nel gennaio 1858, Au­guste M­aquet porterà in tribuna­le Dumas per vedere riconosciu­to il suo ruolo di collaboratore cre­ativo, ottenendo un rimborso di 145.200 franchi. Perdendo però per sempre ogni diritto spettante dalle opere scritte in collaborazio­ne con il grande romanziere.