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 2010  luglio 08 Giovedì calendario

ELOGIO DEL FICCANASO UN MESTIERE VITUPERATO

Alfabeto per intellettuali disorganici.

Bondi, La Russa e Verdini, coordinatori del Pdl, il 4 marzo scorso rispondevano sul Corriere della Sera a una critica che Ernesto Galli della Loggia aveva mosso al loro partito, e scrivevano: «Vi sono critiche (...) come quelle di ieri del Corriere della Sera, che finiscono purtroppo per essere sterili in quanto non scaturiscono da un´onesta riflessione sulla realtà, bensì da un pensiero autoreferenziale, come direbbero gli intellettuali». Che le critiche di Galli della Loggia fossero tipiche di un intellettuale emergeva anche da brani successivi della lettera, dove si diceva che chi avanza critiche come quelle si comporta «come se i fatti non esistessero, in un ambiente praticamente sterile in compagnia unicamente dei suoi libri prediletti e delle sue personalissime elucubrazioni».

Chi tira fuori la pistola? Siamo abituati da gran tempo agli attacchi agli intellettuali, dalla classica espressione attribuita variamente a Goebbels, Goering o Hess «quando sento parlare di cultura tiro fuori la pistola» (che in effetti proviene dal dramma nazista Schlageter di Hanns Johst, «Wenn ich Kultur höre […] entsichere ich meinen Browning»), alle «teste d´uovo» del periodo maccartista, agli «effete snobs» di Spiro Agnew, agli «utili idioti» che qualcuno ha addirittura attribuito a Lenin ma che è stato poi in ogni caso utilizzato sia in America che in Italia per indicare gli intellettuali di sinistra o meglio ancora i «compagni di strada» del Pci. Grosso modo si trattava sempre di allusioni allo «sporco intellettuale», che avevano addirittura dato origine alla popolare barzelletta sui carabinieri che vanno sempre tre a tre, uno che sa leggere, uno che sa scrivere e uno che controlla quei due pericolosi intellettuali.
Definiamo allora l´intellettuale. Sin dai tempi antichi esiste una distinzione tra arti liberali e arti meccaniche o servili – da cui l´insulto di manzoniana memoria «vile meccanico!». Che poi tra i vili meccanici ci fossero anche pittori e scultori era una contraddizione dovuta all´organizzazione sociale di quei tempi. In ogni caso ancora oggi dovrebbe svolgere lavoro intellettuale chi lavora più con il cervello che con le mani, ovvero chi lavora da seduto e con la penna, in quanto opposto a zappatori, fabbri, terrazzieri, muratori, ebanisti e via dicendo. In tal senso (e obbligatoriamente) sarebbero intellettuali non solo professori, giudici, avvocati, poeti, ma anche banchieri e persino impiegati di concetto – al limite persino un portinaio che se ne sta in guardiola smistando la posta e accogliendo i visitatori.

Eppure dovrebbe esserci un altro criterio per distinguere Einstein da un impiegato dell´anagrafe che sta dietro lo sportello. Diremo allora che sia Einstein che l´impiegato svolgono lavoro intellettuale, ma che ricopre la funzione di intellettuale chi svolge un´attività critica e creativa. In tal senso Edison, che inventava (sia pure pasticciando con le mani) la lampadina, era un intellettuale, e svolge funzione di intellettuale il coltivatore che mette in questione i metodi di coltivazione in uso per inventare un modo nuovo per produrre pomodori, mentre dovremmo (anche se pro bono pacis non si fa) negare la funzione intellettuale a un professore universitario che da trent´anni non produce nulla di nuovo e ripete stancamente nozioni tratte da manuali scritti da altri.

Forse allora sono intellettuali anche Bondi, La Russa e Verdini, visto che non zappano la terra e svolgono funzione critica nei confronti di Galli della Loggia? Se le definizioni precedenti sono giuste, sì, perché la funzione critica è tale anche se la critica non la si condivide, e a modo proprio è creativo anche chi scrive cattive poesie. E certamente si atteggia a intellettuale chi ostenta di conoscere il significato della parola «autoreferenziale».

Guarda guarda. Ma allora perché l´invettiva nei confronti dello sporco intellettuale viene sempre da destra e mai da sinistra? Eppure è a sinistra che si era inventata la figura di quello pseudo-intellettuale che era l´intellettuale organico, talmente organico al proprio partito da poterne criticare solo i nemici, mai il partito stesso (salvo diventare mosca cocchiera del capitalismo, e dunque non-intellettuale, ma tuttavia mai definito come «testa d´uovo»).

Hanno invece ragione coloro che dicono che il vero intellettuale è anzitutto colui che sa criticare quelli della propria parte, perché per criticare il nemico bastano gli uomini dell´ufficio stampa, che certamente svolgono lavoro intellettuale ma non lo fanno in modo critico e creativo.

Il grillo parlante. Questo è il lavoro dell´intellettuale, col rischio di essere poi spiaccicato contro il muro. Ma ogni attività comporta le proprie malattie professionali.

La questione fondamentale però rimane: perché l´attacco agli intellettuali viene sempre da destra e mai da sinistra? Forse che a destra non esistono e non sono esistiti intellettuali? Niente di più falso. Parlare di funzione critica e creativa non significa pensare solo a critiche e proposte che si vogliono «progressiste». Svolge funzione critica anche il più fiero dei reazionari, che parla contro il mondo così com´è e propone il ritorno a un passato più saggio del presente. Dante era un intellettuale di destra (pensate, predicare il ritorno all´Impero mentre stavano fiorendo i liberi comuni!), e lo era De Maistre, che addirittura elogiava i sacrifici umani mentre parlava contro lo spirito della Rivoluzione dell´Ottantanove, ma con quale creatività e libertà di giudizio critico…

Ma allora perché le destre non si rifanno mai a questi modelli, riconoscendovi i loro grandi intellettuali, e al massimo vanno a leggersi un dissennato come Evola – e chi intitola le proprie confraternite a Pound è di solito un tizio pelato con tatuaggi sugli avambracci che del povero Ezra non ha mai letto un verso (e vorrei ben vedere)?

Non è però vero che a destra non si praticano gli intellettuali di destra. che si deve distinguere una destra intellettuale da una destra politica, e tra i due mondi esiste una frattura più profonda che tra una sinistra intellettuale e una sinistra politica (o almeno sino a ieri…). Il grande intellettuale di destra è o conservatore o reazionario. Il reazionario ha il mondo in gran dispetto, coltiva aristocraticamente il suo sogno di un ritorno ai valori della tradizione, e non ritiene elegante compromettersi con un impegno politico. Quindi la destra politica ne conosce vagamente il nome, ma non lo legge, e tutto sommato ne diffida (come del resto il saggio reazionario diffida della destra politica). Il conservatore, dal canto suo, è certamente impegnato in una difesa del sistema esistente (il che non esclude una critica pacata e una serie anche creativa di proposte per un miglioramento dello status quo, proprio affinché non se ne vagheggi lo stravolgimento), ma proprio il tono non eccitato della sua critica lo rende poco utile come strumento di battaglia.

Ovvero, quando la sua critica si rivolga agli stessi gruppi di destra (vedi proprio il caso di della Loggia) allora ci si dimostra insofferenti nei suoi confronti, e lo si definisce come (sporco, o almeno autoreferenziale) intellettuale.

Prego: ma non faceva così anche Togliatti? E come no. Ma anzitutto due torti non fanno una ragione, nessuno ha mai detto che Togliatti fosse un modello di pensiero liberale, e comunque in questa sede ci si sta interrogando sugli usi e le origini dell´insulto all´intellettuale come categoria, e questo Togliatti non lo faceva, perché la sua politica era anzi quella di blandire e sedurre gli intellettuali.

Quando inizia allora l´uso di «intellettuale» come categoria negativa da parte del pensiero di destra? Il termine ha meno di due secoli. Qualcuno lo ha individuato in Saint Simon nel 1821, nel Chevalier des Touches (1864) di Barbey d´Aurevilly, in Maupassant nel 1879, nel 1886 in Léon Bloy, ma esso viene usato in modo sistematico e (come vedremo, conflittualmente polemico) nel corso dell´affaire Dreyfus, almeno dal 1898 quando il 14 gennaio un gruppo di scrittori, artisti e scienziati come Proust, Anatole France, Sorel, Monet, Renard, Durkheim, per non dire di Zola che scriverà poi il suo micidiale J´accuse, in un manifesto pubblicato dall´Aurore a opera di Clemenceau, si dichiarano convinti che Dreyfus sia stato vittima di un complotto, in gran parte antisemita, e chiedono la revisione del suo processo. Costoro vengono definiti intellettuali da Clemenceau ma la definizione viene subito ripresa in senso denigratorio da rappresentanti del pensiero reazionario come Barrès e Brunetière per indicare delle persone che, invece di occuparsi di poesia, scienza o altre arcane specialità (insomma, dei fatti loro), ficcano il naso in questioni di cui non sono competenti, come i problemi di spionaggio internazionale e di giustizia militare (che va lasciata appunto ai militari).
(Ricordiamo tra parentesi che in questa battaglia contro l´intellettuale non si era distinta solo la destra, ma anche i socialisti – che più tardi con Lafargue, in Le socialisme et les intellectuels, vedranno gli intellettuali come i pagliacci della «classe che paga». Nel corso dell´affare Dreyfus appare un appello al proletariato dei deputati socialisti che invita il popolo a non occuparsi di una «ignominiosa mischia» che oppone i capitalisti ebrei, i quali difendono Dreyfus per coltivare l´immagine che li vuole perseguitati, e i clericali borghesi. D´altra parte esisteva notoriamente un antisemitismo socialista per cui l´ebreo veniva identificato con lo sfruttatore del popolo).

Scriveva da destra Brunetière («Revue des Deux Mondes» del 15 marzo 1898): «Cos´è allora un intellettuale; a che titolo si riconosce tale; e da dove, da quale concezione della vita ricava la superiorità che si arroga al di sopra di tutti coloro che non onora di questo nome? […]. Gli "intellettuali" d´oggi […] in qualsiasi specialità siano riusciti ad acquistare una fama e una superiorità autentica, s´immaginano, per non so quale fenomeno d´osmosi, che questa superiorità si comunichi a tutto quello che pensano, e la loro reputazione autentica a tutto ciò che dicono […]. Essi non fanno che sragionare su cose di loro incompetenza. Non opponete a quel paleologo il giudizio di tre tribunali militari; lui sa tutto sulla giustizia umana, non per niente è direttore della Scuola nazionale di cartografia. E quest´altro, che è il primo uomo al mondo nello scandire i versi di Plauto, vorreste forse che facesse inchinare la sua logica davanti alla parola di un generale d´armata?». L´opposizione tra chi conosce Plauto e il generale d´armata rimane alla radice del disprezzo che la destra ha sempre manifestato contro l´intellettuale. L´intellettuale non dovrebbe parlare al manovratore.

Tutela il diritto dell´intellettuale a ficcare il naso Quillard (sulla Revue blanche, gennaio-aprile 1898): «Siamo del parere che i creatori di bellezza e gli uomini di scienza non abbiano socialmente più diritto dei lustrascarpe, degli sterratori e nemmeno dei semplici oziosi occupati a incassare rendite e ad accrescerle. Ma non riusciamo a capire bene in che senso la passione dell´arte e della verità infligga loro una tara e la perdita di un diritto, e vieti loro di pensare a proposito delle faccende pubbliche, diritto riconosciuto alle categorie di cui sopra […]. Insomma Brunetière non riesce ad ammettere che un paleografo possa mettere in dubbio il giudizio emesso da tre tribunali militari o che un esperto di metrica non inchini immediatamente la sua logica davanti alla parola di un generale d´armata. Altri potrebbero pensare che, in una questione di fatto come l´attribuzione del bordereau a Dreyfus o a Estherazy, l´abitudine all´osservazione esatta possa essere un elemento a favore del paleografo o dell´esperto di metrica».

Un rilevo analogo viene da parte di Durkheim sulla Revue bleue del 2 luglio 1898: «Se dunque in questi ultimi tempi un certo numero di artisti ma soprattutto di scienziati ha creduto di rifiutare il suo assenso a un giudizio la cui legalità sembrava sospetta, questo non dipende dal fatto che, nella loro qualità di chimici o di filologi, di filosofi o di storici, si attribuiscano non so quali privilegi speciali, come un eminente diritto di controllo sul giudizio. Ma vuol dire, che in quanto uomini, essi intendono esercitare il loro diritto di uomini a considerare un caso che dipende dalla sola ragione […]. Abituati dalla pratica del metodo scientifico a sospendere il proprio giudizio, fintanto che non sia del tutto chiaro, è naturale che essi cedano meno facilmente all´esaltazione della folla e al prestigio dell´autorità».

Va da sé che tutta questa tematica si trasforma nel secolo successivo, quando da un lato si ha la polemica di Benda contro il «tradimento dei chierici», che si immergono troppo nella politica invece di occuparsi dei grandi valori che sono l´oggetto di un sapere disinteressato, e dall´altro l´elogio sartriano dell´engagement, dove il ficcare il naso dappertutto diventa esattamente la missione dell´intellettuale – salvo che nelle discussioni che occupano la sinistra sulla nozione dì impegno, gradatamente l´appello a impegnarsi nella critica e nella trasformazione del presente si confonde con l´appello appunto all´organicità, ovvero all´impegno a difesa e sostegno del partito e poi – nell´enfasi del Sessantotto – nel jamais d´ennemis à gauche (anche e specie contro il partito). Un´altra storia, e non ancora passata in giudicato, mentre qui ci interessa la vicenda di intellettuale come insulto.

Zola aveva dato il via con il suo J´accuse. proprio dell´intellettuale, e tanto più in quanto sia libero e «disorganico», ritenersi impegnato nell´occuparsi della cosa pubblica, anzitutto in quanto cittadino, in secondo luogo in quanto cittadino che per mestiere è abituato a sottoporre i fenomeni al vaglio della riflessione e della critica – anche se nulla assicura che la sua riflessione e la sua critica siano infallibili – ma proprio per questo deve continuamente renderle pubbliche e aperte al controllo collettivo. Ed è proprio nel momento in cui rinasce l´uso del termine intellettuale come insulto, e come designazione di chi vuole ficcare il naso in questioni che non dovrebbero riguardarlo, che bisogna rivendicare questo compito di vigilanza propria della funzione intellettuale, guarda caso, la cosa meno autoreferenziale che esista.