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 2010  luglio 08 Giovedì calendario

GENEALOGICHE RELAZIONI - C’è

un messaggio dal passato in ogni nostra cellula: è il Dna che ci hanno trasmesso i nostri genitori in una lunga catena che risale fino ai nostri remoti antenati africani. Perciò studiare la doppia elica del passato significa rispondere a molte domande e soprattutto conoscere i propri antenati più da vicino. A costo di rimanere delusi. Come ci racconta il biologo e genetista Guido Barbujani in uno studio condotto insieme a vari ricercatori su campioni di genomi antichi e moderni che esclude una discendenza tra gli attuali abitanti della Toscana e gli antichi etruschi.
«Io sono il primo a essere deluso dei nostri risultati, perché sono cresciuto in una famiglia dove l’idea di essere etruschi veniva tramandata di generazione in generazione. Mentre dallo studio emerge che non è sempre vero che chi viveva in un certo posto duemila anni fa sia l’antenato dei suoi abitanti odierni».L’interpretazione dei dati scientifici non implica necessariamente che gli etruschi si siano estinti.«Infatti ”continua Barbujani – nel Casentino, una zona ben de-limitata della Toscana, sono presenti molte tracce della loro eredità genetica ». In uno studio condotto in Sardegna con altri ricercatori sul Dna della popolazione nuragica di 2.500 anni fa è emerso che alcuni di questi tratti genetici sono presenti in oltre la metà della popolazione dell’Ogliastra attuale, ma non nella Gallura che dista solo 150 chilometri.
Bastano piccole quantità di materiale biologico quale ossa, denti e resti mummificati per chiarire alcuni aspetti della storia evolutiva dell’umanità.Ma è un processo tecnicamente complesso e costoso. Per prima cosa si deve poter disporre di reperti ossei ben conservati, il materiale è spesso degradato e difficile da recuperare. E bisogna ottenere un permesso speciale. Continua Barbujani: «Per lavorarci dobbiamo poter distruggere i reperti, farli a pezzi. Posso dire di aver distrutto due denti appartenenti al corpo attribuito all’evangelista Luca, ovviamente previa autorizzazione. Con gli etruschi siamo partiti da 180 reperti di denti, da 90 individui diversi, perché per confrontare i risultati e ottenere informazioni certe dobbiamo duplicare tutti gli esperimenti. In questa ricerca abbiamo anche analizzato campioni di Dna di individui vissuti tra il X e il XV secolo, comparandoli poi con reperti etruschi e contemporanei». Successivamente con le sequenze di Dna così ottenute si simulano nel computer diverse ipotesi di evoluzione, elaborando statistiche complesse in cui si fanno milioni di esperimenti fino ad arrivare alle relazioni genealogiche tra le popolazioni studiate, che vengono poi confrontate con quelle ottenute dalle ossa e dai campioni biologici contemporanei. «La parte molecolare di questa ricerca sugli etruschi è stata condotta in laboratorio a Firenze da Davide Caramelli e replicata a Barcellona da Carles Lalueza Fox. La cultura etrusca è finita nel I secolo a.C. quando gli etruschi hanno ottenuto la cittadinanza romana e la loro lingua è scomparsa dal mattino alla sera. chiaro che i loro geni non sono svaniti allo stesso modo. A noi interessava capire da dove provenivano e dove erano andati a finire». Lo studio della biologia ci dice che nella maggioranza dei casi le nostre radici sono distribuite in molti posti diversi e lo studio del Dna antico è utile per rintracciarli; abbiamo chiarito alcuni aspetti fondamentali della storia evolutiva dell’uomo. Qualunque sia la zona della Terra da cui proveniamo, sicuramente 60.000 anni fa vivevamo tutti in Africa, per poi migrare, mescolarci e disperderci.
Oggi lo sviluppo della genetica ha generato nuove domande, ma soprattutto potrebbe farci riscrivere la storia dell’evoluzione. Dalle nuove prove genetiche analizzate all’Istituto di antropologia evolutiva Max Planck di Lipsia, guidato da Svante Pääbo, considerato il maggiore esperto al mondo di Dna antico e già noto per aver sequenziato il genoma mitocondriale dell’uomo di Neanderthal, è stata identificata una nuova specie vissuta in Siberia sui Monti Altai circa 50.000 anni fa. La scoperta si è resa possibile grazie all’analisi del Dna mitocondriale estratto da un pezzo di osso della falange di un dito ritrovato nel 2008 nella caverna di Denisova. Il reperto è stato confrontato con resti di Neanderthal e dell’uomo moderno risultando differente da tutte le specie umane finora conosciute. L’esistenza contemporanea di una nuova specie obbligherebbe a rivedere aspetti importanti della storia dell’evoluzione. Come puntualizza Barbujani: «Il discorso è ancora aperto, non sono del tutto convinto, ma può darsi lo diventi in futuro. Abbiamo una falangetta il cui Dna indica chiaramente una differenza rispetto a noi e ai Neanderthal, ma è necessario aspettare analisi più approfondite per stabilire se l’ominide di Denisova appartiene a un’altra specie o più semplicemente a un’altra linea evolutiva. Di sicuro, l’idea che l’Homo Sapiens sia il coronamento di un processo lineare che doveva per forza portare a noi è destinata a indebolirsi sempre più.L’evoluzione,come diceva il grande scienziato Steven J. Gould, non è una scala i cui pioli rappresentano una serie di specie che si modificano l’una nell’altra con tendenza al miglioramento, ma un cespuglio dove si creano diversi tentativi di specie di cui solo alcune vanno avanti nel tempo».