Armando Massarenti, Il Sole 24 Ore 4/7/2010, 4 luglio 2010
RADICE QUADRATA DI UN DIALOGO DI CIVILTA’
La favolosa storia della radice quadrata di due (cioè approssimativamente del numero 1,414213562) è raccontata da Benoît Rittaud (Bollati Boringhieri). la storia bimillenaria del numero che, moltiplicato per se stesso, dà 2. Ma è anche la radice del quadrato, inteso in senso geometrico, che ha dimensioni pari a 2, ovvero la lunghezza del lato di un quadrato di area 2. «Ed è questo carattere geometrico che fa di questa "radice" un punto di partenza, un’origine», scrive Rittaud. Ancora nel IV secolo, il greco Pappo di Alessandria afferma senza mezzi termini che: «Per i numeri non può esistere né incommensurabilità né irrazionalità. I numeri sono razionali e commensurabili». Dunque non c’è spazio, per quel che riguarda i numeri, cioè l’aritmetica, per la radice di due, né per gli altri numeri che si sarebbero poi detti «irrazionali». Da una parte, per le grandezze incommensurabili, c’è la geometria; dall’altra l’aritmetica, che si interessa alle proprietà dei numeri interi: divisibilità, «terne pitagoriche». Fu così che la radice di 2 «appena uscita dalla propria infanzia» (che alla nascita aveva già messo in crisi la setta dei pitagorici) attraversò «una crisi di identità»: per i Babilonesi era una costante, ora è un fenomeno che può assumere aspetti diversi, come quello dell’incommensurabilità della diagonale e del lato. Il superamento di questa crisi, tra le mille storie raccontate da Rittaud, riguarda anche il dialogo tra civiltà. Verso l’anno Mille, il matematico arabo Al-Karaji, dopo aver richiamato le definizioni di Euclide, risponde a Pappo nel modo più semplice e pragmatico: «Io mostro come queste quantità (incommensurabili) sono trasposte in numeri». Fu così che la radice di 2 ricominciò a essere un numero.