Franco Bechis, Libero 8/7/2010, 8 luglio 2010
LA RAI NON PAGA MAI: SALTANO I TAGLI ANNUNCIATI
Perfino i magistrati che fanno tremare l’Italia con le loro inchieste e intercettazioni o i grandi boiardi di Stato che sempre riescono a infilarsi nel vuoto del sistema politico contano meno di un Michele Santoro, di
un Giovanni Floris, di un Fabio Fazio o di una qualsiasi altra grande firma della Rai. Se c’era bisogno di una prova su chi sia davvero potente in Italia, è arrivata ieri dal Senato della Repubblica, nel pieno della votazione sugli emendamenti alla legge finanziaria. Il relatore aveva proposto in un emendamento di tagliare del 20% i compensi del personale non dipendente della Rai, e di inserire un tetto massimo per la spesa del personale dipendente Rai: il 25% dei costi complessivi dell’azienda (acquisto di beni, produzioni, diritti tv, immobili, etc...). Bene, l’emendamento è durato lo spazio di un lancio di agenzia. Appena divenuto pubblico, il povero relatore Angelo Azzolini ha dovuto ritirarlo in fretta a furia staccando il suo telefonino che era divenuto rovente.
Morale della favola: la finanziaria può tagliare le unghie e scucire le tasche a grand commis come Vittorio Grilli, a tutta la magistratura al gran completo, perfino al governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi. Che piegano il capo e accettano il sacrificio senza muovere lobby e truppe parlamentari per salvare il proprio 740. Con i poteri forti dunque si può. Ma con i veri padroni del vapore no. Prova a portare via un centesimo dalle tasche dei Santoro, dei Floris, dei Fazio e via cantando e la carriera finisce per il malcapitato.
Eppure se c’è un’azienda con i conti assai arruffati e una spesa record per il personale, quella è proprio la Rai. L’azienda di viale Mazzini nell’ultimo anno ha chiuso i conti in rosso di 61,8 milioni di euro nonostante il costante aumento del canone di abbonamento
della televisione e non solo per colpa della crisi economica che ha ridotto le performance del mercato della pubblicità. Sì, è vero, la Sipra non ha affatto brillato nella raccolta e il confronto con Publitalia è stato perso vistosamente. Ma fra i responsabili del buco di bilancio della Rai c’è proprio la spesa per il personale che oggi rappresenta circa il 35 per cento dei costi complessivi dell’azienda (il tetto proposto nella finanziaria sarebbe stato probabilmente irraggiungibile).
Nel bilancio consolidato il costo del lavoro supera e non di pochissimo il miliardo di euro. Ed è dovuto in gran parte al vero e proprio esercito alle dipendenze. I dati del 2009 non sono ancora stati resi pubblici, ma quelli del 2008 ammontavano complessivamente a 13.236 unità annue nel consolidato Rai. Di queste 11.698 erano in forza alla capogruppo: 9.840 a tempo indeterminato e 1.858 unità medie annue a tempo determinato. Altri 1.600 dipendenti sono invece un po’ più nascosti nelle pieghe dei bilanci delle varie società controllate: da Rai Way che ne ha 685 alla stessa Sipra (448), a Rai Trade (93), Rai Net (66), Rai Cinema (59) e tante altre perché ogni anno ne nasce una nuova con le sue belle truppe.
Solo i giornalisti in tutta l’azienda sono 2.006, e proprio non può esserci confronto con le aziende concorrenti (Mediaset e Sky tg24), ma tutti i comparti sono davvero gonfiati se si fa quel raffronto: dai dirigenti ai quadri agli impiegati
(sono più di 8mila e dentro sono compresi anche i tecnici di produzione), agli operai, fino ai 139 orchestrali e coristi che già venti anni fa si volevano esternalizzare dall’azienda (e mai è stato fatto). Ci sono perfino 12 medici ambulatoriali, perché evidentemente non ci si fida troppo del servizio sanitario nazionale.
Ma non bastano i dipendenti, perché la Rai spende ogni anno poco meno di 160 milioni di euro per le prestazioni di lavoro autonomo. E in questa cifra ci sono quasi tutti i super conduttori che da tempo hanno capito che ci si riesce a mettere in tasca di più da lavoratori autonomi che da direttori alle dipendenze. Una scelta fatta da Floris e da Bruno Vespa, e che stava per fare quest’anno anche Santoro, che in extremis ci ha ripensato. I suoi 700mila euro circa restano quindi nel costo per il lavoro dipendente, insieme a quello di decine di altri dirigenti che in Rai ci sono andati magari anche dall’esterno facendosi assumere però a tempo indeterminato e sicuri che di fronte a un demansionamento c’è sempre un tribunale del lavoro pronti a tenerli nel loro posto.
Fra le voci consistenti del costo del personale c’è anche quella per le diarie e le spese di viaggio rimborsate a giornalisti e funzionari che gironzolano per l’Italia e per il mondo. Mica uno scherzo: quasi 50 milioni di euro all’anno che sono lievitati di bilancio in bilancio da quando non c’è più nessuno a fare seriamente le pulci alle note spesa.