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 2010  luglio 08 Giovedì calendario

UNO SCHIAFFO DOPO IL MORSO LA CAUSA DELLA FURIA OMICIDA

Il processo per l’ex fidanzato Raniero Busco è stato chiesto dai pm, perché «è suo l’unico Dna che è stato trovato sulla scena del delitto». E anche perché, «sul corpetto che indossava Simonetta Cesaroni sono state trovate tracce con il suo codice genetico, a lui riferibili, oltre ogni ragionevole dubbio». Sono queste le conclusioni sottoscritte dai tre consulenti del pubblico ministero Ilaria Calò nella loro relazione. Ieri gli esperti sono venuti a riferirlo nell’aula bunker di Rebibbia durante l’udienza che vede l’ex fidanzato della vittima sotto processo. La relazione porta la firma del generale Luciano Garofano, ex comandante del Ris di Parma, del maggiore Marco Pizzamiglio, anche lui biologo del Ris, e di Stefano Moriani, medico legale dell’Università La Sapienza. I consulenti riferiscono i loro risultati, pur sottolineando i limiti degli accertamenti, dovuti al fatto che si è trattato di analizzare foto, filmati e reperti vecchi di anni. La perizia viene illustrata con grafici e foto, e sembra di poter leggere nel risultato un punto a favore dell’accusa. Poi, però, viene specificato, che non si può essere sicuri al cento per cento che si tratti di saliva. Che se il corpetto è stato lavato in lavatrice o a mano, la traccia non ci sarebbe più stata, anche se, nel caso del lavaggio manuale, qualche residuo sarebbe potuto rimanere. Insomma, una lettura a due interpretazioni, che continua a lasciare dubbi sulle responsabilità di Busco nell’omicidio.
Dal medico legale è stata fatta, poi, la ricostruzione del momento della morte: dietro il raptus omicida - secondo Moriani - potrebbe esserci stato un approccio sessuale consenziente, un forte morso al seno, una reazione cui sarebbe seguito uno schiaffo all’aggressore che, a quel punto, ha infierito sul corpo con trenta coltellate. Trenta solchi probabilmente provocati da un tagliacarte: 6 al volto, 3 al collo, 7 al torace, 8 all’addome e 6 al livello genitale. Dal maggiore Pizzamiglio è stato ribadito più volte che, dall’esame dei reperti, «l’unico Dna trovato sulla scena del delitto, in particolare sugli indumenti della vittima, è riferibile a Busco», e che «la comparazione delle tracce sui reperti raccolti col Dna delle altre 29 persone cui fu prelevato il campione biologico, nonché con i profili d’archivio di circa 29 mila altre persone, ha dato esito negativo», mentre su altri due reperti (un tavolino e l’ascensore dello stabile di via Poma) «è stato trovato sangue misto non definibile».
L’esame dei consulenti, comunque, sembra aver ”fissato” alcuni dati processualmente importanti: il fatto che il delitto sia stato frutto di un’azione violenta avvenuta in un’unica stanza e senza segni di colluttazione, la presenza di tracce di saliva sul corpetto e sul reggiseno indossati da Simonetta Cesaroni il cui Dna è riconducibile a Busco, e che dall’esame del contenuto gastrico dello stomaco della ragazza, si può collocare l’omicidio intorno alle 17 del 7 agosto 1990. Prossima udienza, il 19 luglio. Quel giorno saranno sentiti gli altri consulenti e gli esperti nominati dalla difesa. Si vedrà anche se comparirà in aula Salvatore Volponi, l’ex datore di lavoro di Simonetta. Già convocato in altre udienze, in precedenza non si è presentato o non ha testimoniato, per precarie condizioni di salute.