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 2010  luglio 08 Giovedì calendario

SE IL MONDO ARABO E ISRAELE SI ALLEANO CONTRO AHMADINEJAD - C’è

un evento che sta passando inosservato: è uno di quegli eventi, enormi, colossali, che possono ridisegnare la carta del pianeta. Si tratta della decisione, presa dagli Emirati Arabi Uniti, di controllare le navi che giungono nelle loro acque territoriali e legate, più o meno direttamente, all’Iran o al commercio con l’Iran; di chiudere 41 conti bancari appartenenti a entità iraniane e che possono servire da schermo a operazioni di contrabbando a vantaggio del programma nucleare di Teheran; di schierarsi, in altre parole, nel campo di coloro che applicano alla lettera la nuova risoluzione delle Nazioni Unite del 9 giugno, che prevede di intensificare ancora le sanzioni contro l’Iran. Tale evento si verifica pochi giorni dopo le dichiarazioni fatte ad Abu Dhabi, a conclusione dell’assemblea annuale della «Global Iniziative to Combat Nuclear Terrorism», da Hamad al-Kaabi, rappresentante permanente degli Emirati presso l’Agenzia internazionale dell’energia atomica: sono parecchie decine le navi contenenti materiali sensibili che la polizia degli Emirati avrebbe, nelle ultime settimane, già ispezionato. Tutto questo accade dopo l’articolo di Georges Malbrunot, pubblicato sul Figaro del 26 giugno, in cui viene mostrato come le circostanze rocambolesche che hanno portato all’assassinio a Dubai di Mahmud al-Mabhuh, in gennaio, da parte del Mossad, siano state forse una messinscena: gli Emirati, nel frattempo, lavoravano in stretto contatto con Israele per rendere più sicure le loro frontiere, per proteggere i pozzi di petrolio e far fronte a eventuali operazioni iraniane di destabilizzazione. E questo succede dopo un’altra informazione, pubblicata stavolta sul Times di Londra del 13 giugno e poi smentita, ma fiaccamente, da Riad: l’Arabia Saudita’ non si sa nulla di più, ma non si può non pensare all’ipotesi di un attacco sorpresa dell’esercito Tsahal contro i siti nucleari di Ahmadinejad – avrebbe deciso di aprire il proprio spazio aereo ai velivoli israeliani. Si tratta quindi di un evento di rilievo per almeno tre ragioni. In primo luogo, perché ricorda, a coloro che si ostinano a non vederlo, che l’Islam non è un blocco: ma c’è un Islam di pace contro un Islam di guerra; Islam moderato contro Islam fanatico; e, in questa occasione, Islam sunnita contro quello sciita o, più esattamente, contro l’eresia dello scisma che è l’Islam apocalittico dei folli e dei gangster che, un anno fa, rubarono il voto agli iraniani. In secondo luogo, perché dimostra come il fronte del rifiuto contro il regime iraniano e i suoi progetti di guerra totale si stia allargando e stia prendendo forma e consistenza. Che non ci sia molto in comune fra democrazia israeliana e autocrazia saudita, è evidente; nulla, nessun gesto politico né geopolitico, nessun grande riavvicinamento con chiunque, può far dimenticare, per esempio, le gravi violazioni dei diritti dell’uomo, e della donna, è innegabile. Ciò non toglie che la prospettiva di veder l’Iran dotarsi di armi di distruzione di massa rappresenta una minaccia non paragonabile a una qualsiasi violazione dei diritti dell’uomo, e il fatto che un numero sempre maggiore di Paesi nella regione cominci a esserne consapevole è, in sé, una grande notizia. In terzo luogo, per tornare ai 41 conti bancari indicati dalla risoluzione delle Nazioni Unite e congelati, occorre sapere: 1) che il porto di Dubai, come confessato dallo stesso ambasciatore al-Kaabi, sta diventando il centro nevralgico dei peggiori traffici nucleari; 2) che gli Emirati, al di là del nucleare, sono la terza destinazione, dopo Cina e Iraq, delle esportazioni iraniane, che da quattro anni si sono triplicate; 3) che sui 41 conti presi di mira, circa la metà appartenevano alla Repubblica islamica stessa e al corpo dei Guardiani della Rivoluzione. Questo per dire che la decisione degli Emirati costituisce un vero colpo contro il regime. Meglio ancora: è un’operazione-verità destinata alle anime semplici che credevano all’alleanza contro natura’ con il pretesto di «unione sacra» contro il «nemico sionista» – di tutti i musulmani della regione. E il fatto che un Paese arabo abbia per la prima volta osato dire di no al tentativo di hold-up iraniano, sventando così la manovra di cui Hamas e Hezbollah erano gli avamposti, ma il cui fine ultimo era l’incendio della regione, è un gesto di sopravvivenza e al tempo stesso una dimostrazione di maturità, il segno di un opportuno chiarimento. Se la decisione sarà mantenuta, nulla sarà più come prima. E per Ahmadinejad il conto alla rovescia sarà cominciato.
Bernard-Henri Lévy
traduzione di Daniela Maggioni