Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 08/07/2010, 8 luglio 2010
LE OPA DELLE BANCHE E I VECCHI VIZI DELLA LEVA
Il 28 giugno, a Brescia, non in una città del Sud, le imprese edili e le banche raggiungono l’accordo per la cessione pro solvendo dei crediti verso Provincia e Comuni per piccole opere, come la manutenzione delle strade e degli edifici pubblici. Se entro 18 mesi il debitore non pagherà, le banche riavranno l’anticipo con gli interessi. La cessione pro soluto non è giudicata sostenibile.
Combinazione, negli stessi giorni la filiale madrilena di Mediobanca organizza una sorta di auto Opa sul colosso autostradale Abertis. Lo scopo? Dare soldi ai soci eccellenti, il padrone del Real Madrid, Florentino Perez, gran costruttore indebitato, e alla Caixa, impegnata sul fronte delle casse di risparmio spagnole sconvolte dalla crisi immobiliare, ma senza privarli del controllo del campione nazionale. Perez e La Caixa, infatti, assieme al fondo lussemburghese di private equity Cvc, compreranno le azioni Abertis, dunque anche le proprie, con i soldi delle banche. Brescia e Madrid sono lontane, eppure una relazione c’è, e non solo perché sempre di asfalto si tratta.
In Borsa, Abertis vale 10,5 miliardi e ha debiti finanziari netti per 14,5 miliardi. I due e il loro partner del Granducato, si dice, formano una società veicolo con un capitale di 4 miliardi che cercherà finanziamenti per 5-6 miliardi da un pool bancario organizzato da Mediobanca e composto anche da Unicredit e Intesa Sanpaolo. L’architettura dell’operazione non è nota. Non si può dire se tali somme basteranno. Ma immaginiamo che, con qualche cessione, bastino. Alla fine, lo stesso gruppo autostradale, con un margine operativo lordo certo non superiore ai 2,4 miliardi correnti, avrà invece 20-21 miliardi di debiti.
Nel 2003, dopo l’Opa dei Benetton, il rapporto tra debito e margine di Autostrade salì a 6 volte. Le banche italiane, tranne Mediobanca e Unicredito, non sostennero l’operazione perché troppo ardita (o forse perché non voleva la Banca d’Italia, che puntava a isolare piazzetta Cuccia). Oggi, con Abertis, siamo a un rapporto di 8 volte. Particolare non inutile, Abertis ha un patrimonio netto di 5,7 miliardi e avviamenti per 8,7. Il patrimonio netto tangibile è perciò negativo per 3 miliardi; il nuovo lo sarà in misura maggiore.
Nell’entrare in partita, le banche punteranno a interessi adeguati al rischio regolatorio, alla scadenza non lontana delle concessioni spagnole e alle incertezze sui tassi, in verità gestibili con appropriate coperture. I covenant del contratto diranno se, a date condizioni, il credito sarà trasformabile in azioni.
Pensando al caso di Brescia, vien da chiedersi se le banche non abbiano niente di meglio da fare. Domanda ingenua. Le banche risponderanno che la pubblica amministrazione italica è cattiva pagatrice. E che la Borsa esige dividendi comunque, anche quando il credito all’economia reale in recessione genera sofferenze. Tutto si spiega. Ma due punti non tornano.
Primo, operazioni come l’auto Opa spagnola rivelano che la crisi non ha cambiato né la musica né i suonatori. L’appetito per il rischio aumenta, l’ansia di spremere le imprese pure, i soci eccellenti cadono sempre in piedi e c’è ancora di mezzo il paradiso fiscale lussemburghese. Secondo, se i monopoli naturali possono reggere simili carichi, perché i governi li cedono ai privati anziché tenerseli, gestirli bene e avvalersene o per ridurre le tariffe al mero costo o, spremendoli, per ricavare risorse da destinare allo sviluppo? La domanda vale per la Spagna, ma anche per l’Italia.
Massimo Mucchetti