Gianni Santucci, Corriere della Sera 08/07/2010, 8 luglio 2010
DIVISE DA SPORTIVI E FOTO SCAMBIATE I TRUCCHI DEI CLANDESTINI A MALPENSA
«Da dove venite?». Dubai. «Dove andate?». Varsavia. «E, perdonate, che ci andate a fare in Polonia?». Risposta: «Pallavolo, siamo squadla. Vedi tute?». Almeno quelle sì, le indossavano tutti, gli undici cinesi che qualche mese fa si sono presentati al controllo passaporti dell’aeroporto di Malpensa. Tutti in coda davanti al poliziotto. Impettiti, silenziosi, educati. E sospetti.
Nelle due ore successive gli agenti hanno rapidamente verificato che: viaggiavano senza altre attrezzature sportive; a Varsavia non c’erano tornei; avevano il visto per entrare in Italia, ma non il biglietto per il viaggio in Polonia. Giustificazione: «Andiamo in tleno ». Insufficiente. Entrati nell’elenco dei «respinti» (in codice: Inad, inadmissable passenger), la sera stessa gli undici cinesi sono stati reimbarcati su un aereo per Dubai. Combattono una battaglia così (di solito molto più complicata), gli uomini della Polaria di Malpensa. Un lavoro che mescola psicologia e investigazione. Scoprono una media di tre clandestini al giorno che tentano di fare «il colpo».
I «respinti» nel 2009 sono stati 784, quest’anno arriveranno a più di mille. La «nuova Lampedusa», come il ministro Maroni ha definito Malpensa, non è paragonabile alla Lampedusa vera per numero di ingressi: gli immigrati in arrivo dal mare bloccati nel 2008 sono stati 35 mila (fonte Caritas). Dopo gli accordi con la Libia dell’anno scorso, il flusso si è ridotto del 90 per cento. E così è presumibile che aumenti la pressione sugli aeroporti. Le storie sono simili: disperazione, speranza, fino a 10-15 mila euro a viaggio pagati ai trafficanti. Che forniscono pacchetti completi di biglietto, a volte passaporti falsi, in altri casi visti e imbarchi facili assicurati da controllori corrotti nei Paesi d’origine. Qui a Malpensa però è tutto più pulito. Una battaglia di psicologia più che di resistenza. «Il nostro lavoro è fatto di intuito nella prima fase di controllo – spiega Giovanni Pepè, dirigente della Polaria dell’aeroporto – poi di scandaglio dei documenti, dei visti e delle caratteristiche dei viaggi. Il tutto accompagnato da un’analisi sui flussi e sulle rotte più "a rischio"».
Controlli a più barriere. Gioco di sguardi e di tecnologia. Facce di turisti da studiare; passaporti da mettere sotto le macchine antifalsi. Sette keniani atterrati a gennaio da Dubai non sono passati. Avevano un visto Schengen per affari rilasciato dall’Ambasciata italiana a Nairobi; quattro giorni di prenotazione in hotel a Milano; biglietto di ritorno da Fiumicino. Messinscena crollata dopo le verifiche: la prenotazione era stata annullata; solo 400 euro in tasca; spiegazioni zoppicanti sul lavoro. Sono finiti nello spazio «Imola 21» di Malpensa. Zona d’attesa. Stanzone controllato in cui vengono sistemati gli stranieri illegali in attesa di rimpatrio. Le compagnie aeree sono obbligate a riportarli nel Paese di provenienza col primo volo. Da «Imola 21» sono passati anche gli altri keniani, arrivati da Doha, per allestire un inesistente stand alla fiera dell’artigianato di Bolzano.
Il campionario dei trucchi si raggruppa in tre categorie: passaporti falsi; documenti originali su cui viene sostituita la foto; biglietto aereo che prevede solo un transito. In questo caso chi vuole entrare illegalmente in Italia può provare a scappare. Ma ormai è molto complicato. Qualche anno fa la Polaria ha arrestato nove persone, tra cui alcuni dipendenti dell’aeroporto, che «vestivano » i clandestini con giubbotti da lavoratori delle pulizie e li facevano uscire da porte secondarie. In area transiti qualcuno distrugge i documenti, vaga per un po’ e poi chiede asilo politico (nel 2009 sono stati 147). Nelle zone più a rischio si incrociano le telecamere di sicurezza. E c’è una sala intercettazioni per le indagini più articolate. A fine 2009 sono stati bloccati due trafficanti che portavano clandestini albanesi a Londra, via Malpensa, sfruttando carte di identità originali barattate per dosi di cocaina. La Sea (gestore degli scali milanesi) si è messa in discussione affidando a Giulio Sapelli l’analisi delle dinamiche e delle criticità di Malpensa.
Tra saloni, corridoi, stanze e
vetrate, nella città-aeroporto che sembra sempre perfetta, i trafficanti di uomini e quelli di droga incrociano le loro rotte. Anche i corrieri di cocaina provano a mimetizzarsi fra i 30 mila passeggeri che ogni giorno partono e arrivano. Qualcuno, sentita la frase sull’aeroporto «nuova Lampedusa», potrebbe riformularla anche in «nuova Asunciòn». Gli uomini del Gruppo Malpensa della Guardia di Finanza, guidati dal tenente colonnello Emilio Fiora, collaborando con l’agenzia delle Dogane negli ultimi mesi hanno intercettato un’ondata di corrieri in arrivo dal Paraguay. Nel 2009 hanno sequestrato nello scalo 330 chili di cocaina, il 45 per cento di quella bloccata in tutti gli aeroporti italiani. E nel 2010 hanno già arrestato 80 corrieri. Con una novità: la maggior parte, oltre 50, sono ovulatori (ingoiano ovuli di droga). Finiscono in ospedale, per verificare con le radiografie se hanno stupefacenti in pancia. E per sfuggire ai controlli corrono rischi sempre più alti. I militari della Finanza li hanno scoperti con lo stomaco carico di ovuli di cocaina liquida, più difficile da vedere sotto i raggi.
Storie di mafie internazionali e disperati che confluiscono sempre lì, su Malpensa: per arrivarci, un immigrato illegale paga 10 mila euro. Per atterrare con un chilo di coca in pancia, un corriere ne incassa tra i mille e i 2 mila.
Gianni Santucci