FRANCESCA PACI, La Stampa 7/7/2010, pagina 15, 7 luglio 2010
SPOSE BAMBINE (2
articoli) -
D’ORA IN POI SARAI SUA E MI HANNO MASSACRATA -
A Bradford, nello Yorkshire, Inghilterra del nord, nel giugno del 2009 sono scomparse 250 ragazze. Avevano tutte meno di sedici anni. Sono partite in giugno per le vacanze in Pakistan, in India e in Bangladesh e non sono più tornate. Le denunce sono state presentate dai presidi delle loro scuole e secondo la Fmu (Forced marriages unit), l’unità speciale per i matrimoni forzati, ognuna di loro è stata costretta a prendere marito. Jasvinder Sanghera, fondatrice del «Karma Nirvana», una specie di Telefono Azzurro per ragazzi e ragazze minacciati, ricattati e picchiati dai genitori, dice che le chiamate ricevute dalla sua organizzazione sono aumentate del 65% negli ultimi dodici mesi e l’Fmu, struttura che lavora in contatto diretto con il ministero degli esteri, ha avuto un incremento pressoché identico. Ogni anno sono diecimila i matrimoni forzati che riguardano cittadini di origine asiatica o africana con passaporto britannico. E il 20% delle vittime sono maschi giovanissimi di cui le famiglie temono l’omosessualità o la bisessualità. Una percentuale raddoppiata dal 2000 a oggi.
Le storie sono buchi neri che risucchiano le esistenze e sono note perché chi torna, chi riesce a fuggire, chi si emancipa, spesso decide di girare di città in città per raccontare il proprio dramma. Psicoterapie di gruppo, in saloni che raccolgono centinaia di persone.
Adila Sadyia, ha 25 anni e viene da Nottingham. Ha mani sottili e occhi profondi, inquieti. E’ decisamente bella. «Dieci anni fa mia madre mi disse: andiamo a casa, in Pakistan, passiamo le vacanze lì. Non c’ero mai stata. Ero entusiasta». Tre giorni dopo l’arrivo il padre entra in camera da letto e le dice: «Domani ti presento tuo marito». Lei impallidisce, piange, urla che il marito lo vuole trovare da sola. «Tu non mi disonorerai». Il padre la picchia con la cinghia, ferocemente. «Ero un corpo inarticolato e inerte, la coscia ridotta a un grumo insanguinato. Sono stata un mese al buio, segregata nella stanza. Non avevo più volontà, ho ceduto». Il promesso sposo è un uomo anziano con rughe profonde e mani sporche. La prima volta che lo vede lui è seduto sul letto, appoggiato a un cuscino verde. Sbuffa nuvole di fumo marrone e la guarda come si guardano le giumente. Poi allunga una mano e dice solo: «Vieni qui». «Ho vomitato tutta la notte, dopo tre anni sono riuscita a scappare». Come stai adesso? «Sono viva».
Imran Rehman di anni ne ha 32, è magro, indossa una camicia chiara e si siede davanti a un poster con la fotografia di due mani incatenate che dominano una scritta a caratteri cubitali: Forced. Il suo calvario cominciò nel 1993. «Anche i miei usarono la scusa della vacanza. Mi trovai a casa, nel Punjab, in mezzo a una grande festa. Arrivarono tutti, gli zii, i fratelli, i cugini. Sulla sedia c’era un signore malato, era scavato come se fosse già morto, erano impazziti di gioia, gridavano che il giorno del mio matrimonio era vicino, tagliavano dolci. Capii e provai a fuggire». Lo rinchiusero in un magazzino per tre settimane riempiendolo di botte e violentandolo, finché un bambino di nove anni lo aiutò a scappare. A Londra rimase ricoverato un mese in ospedale. Ora ricorda una infermiera giovane, bionda, che gli chiede con dolcezza: «Che cosa c’è che non va occhi verdi?». Lui non risponde. «Mi giro nel lenzuolo e scoppio a piangere. E’ successo davvero prima di diventare un sogno ossessivo». Negli ultimi tre mesi il «Karma Nirvana» ha ricevuto 769 richieste di aiuto. L’ultima, ieri, era di un bambino di 8 anni.
ANDREA MALAGUTI
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SOGNAVO BAGLIONI, MI HANNO DATA ALLO ZIO -
«Vivo in Italia da undici anni, sono cresciuta qui, ho preso la cittadinanza, ascolto Baglioni e Fiorella Mannoia, non posso tornare in Marocco e sposare mio zio», racconta la ragazza che chiameremo Siam al telefono dalla località segreta dove si nasconde. Venti giorni fa è uscita di casa col vocabolario di greco nello zainetto e non è più tornata. Invece dell’esame di maturità ha affrontato la vita: «Il liceo classico mi piaceva, volevo iscrivermi all’università e studiare lingue orientali ma quando due mesi fa mio padre mi ha detto che quest’estate le vacanze in Marocco sarebbero state diverse perché avrei incontrato il mio futuro sposo, uno di famiglia, ho perso la testa. Ho provato a ragionare con lui ma mi ha picchiato, sono andata da mia madre che però lo teme più di quanto ami me, le mie sorelle e i fratelli mi hanno implorato di accettare con le buone la tradizione immutabile e gli amici italiani... bè loro non sanno niente, mi sarei vergognata veramente troppo».
Molto meglio la Rete, tra i cui nickname anonimi puoi confonderti senza rischi e contattare un’associazione di donne per chiedere aiuto. C’è voluta qualche settimana perché Siam organizzasse la finta sottomissione ai ciechi desideri del genitore, l’addio repentino al fidanzato italiano che ancora la cerca e non si capacita d’essere stato mollato per amore e la fuga.
Secondo l’associazione Acmed tra il 2009 e il 2010 ben 250 fanciulle originarie di Casablanca, Khouribga, Rabat, sono scappate per evitare le nozze forzate, pioniere temerarie del rifiuto come Franca Viola che nella Sicilia del 1956 si oppose per prima al matrimonio riparatore. Altre duemila, calcola il Centro di documentazione sull’infanzia, hanno subito la sorte di un marito non scelto. Magrebine, pakistane, indiane, cingalesi, anime divise in due tra l’aspirazione alla libertà e l’incubo di Hina Saleem e Saana Dafani, uccise per aver detto no.
«Al normale scarto generazionale tra padre e figlia si aggiunge quello culturale tra uomini conservatori e giovani donne che studiano, crescono nella società italiana, rifiutano il modello materno di obbedienza cieca» spiega Souad Sbai, parlamentare del Pdl, presidente di Acmed e autrice del volume «L’inganno. Vittime del multiculturalismo». Il risultato è spesso l’enigma di un bivio apparente: «Molte fuggono in Francia perché l’associazione Ni Putes Ni Soumises ha una struttura solida. In Italia sono sole. Siam è andata dai carabinieri ma di fronte all’opzione obbligata di denunciare il padre non se l’è sentita». Di tante strade, solo una è praticabile: «A differenza delle 5000 donne vittime di violenza che hanno chiamato il numero verde di Acmed nel 2009, le giovani non mollano. Ci cercano via mail ma hanno già scelto la fuga, magari addirittura in Marocco dove si è formata una coscienza ed è possibile che una zia illuminata le aiuti a ribellarsi restando all’interno della comunità».
Il Corano non c’entra, osserva Ahmad Ejaz, mediatore culturale e direttore della rivista pakistana Azad. Almeno non direttamente: «Il matrimonio combinato ha un grande valore nel subcontinente indiano, è collegato alle caste e alla reincarnazione e interessa musulmani, sikh, cristiani». Solo che, una volta in Italia, i padri riescono difficilmente a maritare le figlie dodicenni e quelle, crescendo, non ne vogliono più sapere del marito-cugino. Ecco che da combinate le nozze diventano forzate: «Gli immigrati vengono da zone rurali, meno del 10% manda le figlie all’università. Piuttosto che affrontare adolescenti ribelli le riportano in Pakistan prima dei 14 anni e le fanno sposare lì». Ragazze interrotte, che chinino a forza il capo o che, come Siam, si lascino tutto alle spalle correndo a occhi chiusi.