RICCARDO ARENA, La Stampa 4/7/2010, pagina 1, 4 luglio 2010
NOI GIUDICI DI DELL’UTRI CALLUNNIATI E INDIFESI
Parte dal presupposto che era un processo come tutti gli altri, che giudicare Marcello Dell’Utri o un qualsiasi altro imputato, politico o non politico, non fa differenza. Che quando gli dicono che la Corte d’appello che presiedeva ha «assolto la politica» e in particolare Forza Italia, la cosa non gli interessa, perché «poi tutto sarà chiarito con la motivazione». convinto, Claudio Dall’Acqua, 66 anni, presidente del collegio che qualche giorno fa ha inflitto sette anni al senatore del Pdl Dell’Utri, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa e giudicato colpevole «per i fatti commessi fino al 1992», che il giudice non debba fare la storia né cercare di entrarci. Accetta di parlare «per la prima, unica e ultima volta».
Perché?
«Perché abbiamo subito attacchi personali, io e gli altri giudici del collegio, Salvatore Barresi e Sergio La Commare. Persino i miei figli sono stati chiamati in causa in un contesto di insinuazioni offensive e calunniose. Come se io avessi approfittato di avere in mano ”l’arma” del processo per risolvere i problemi di uno dei miei ragazzi, Fabrizio, segretario generale del Comune di Palermo, curriculum e risultati eccezionali. Lui, quando si è liberata la sede di Palermo, ha presentato la domanda ed è stato scelto dal sindaco del Pdl Diego Cammarata. Che io non conosco. E non ho conoscenze nemmeno in politica, cui sono estraneo a 360 gradi».
Nessun imbarazzo nemmeno per l’altro suo figlio, Riccardo?
«Imbarazzo? Di lui sono doppiamente orgoglioso: lavorava per Vincenzo Rizzacasa, un imprenditore arrestato nei giorni scorsi con un’accusa di mafia che è stata pure derubricata dal tribunale del riesame. Riccardo si è dimesso, anche se la società di cui era dipendente non era coinvolta nell’indagine. Lo ha fatto per me, per rispetto verso il delicato ruolo che ricoprivo».
Qualcuno vi ha giudicati deboli, condizionabili, non indipendenti.
«E l’Anm, sia a livello distrettuale che nazionale, non è intervenuta a nostra tutela. Abbiamo dovuto fare un comunicato, alla vigilia della camera di consiglio, perché nessuna voce - a parte quelle di singoli colleghi - si è levata in nostra difesa. Ci hanno detto che l’Anm interviene solo quando ci sono attacchi provenienti da personalità istituzionali. Cosa che non è affatto vera. Soltanto, non si è voluta tutelare l’indipendenza del giudice nel momento della decisione. Hanno prodotto solo poche righe di solidarietà: in ritardo, a maggioranza…».
Il giudice Barresi fu criticato da Ingroia e Caselli anche per il processo Andreotti.
«Ma almeno in quei casi le critiche arrivavano dopo le sentenze, cosa che nel nostro Paese avviene spesso. Stavolta, invece, ci hanno attaccati prima. E questo è veramente inquietante».
Ora ce l’ha con i giornali?
«No. Il diritto di cronaca è sacro, lo rispetto. Però Barresi tirato in ballo perché avrebbe giocato a carte con il suo compagno di classe Giovanni Ciancimino, trent’anni fa, e forse, così dicono alcuni giornali, col padre, Vito, è una ricostruzione che non sta in piedi».
E il fatto che da relatore il «consigliere» abbia detto di no all’audizione di Massimo Ciancimino?
«E questo cosa avrebbe a che vedere con quelle presunte partite a carte? Noi decidiamo sulla base della rilevanza e della conducenza nel processo».
Ma quello contro Dell’Utri era un processo come tutti gli altri?
«Sì, ne sono convinto. Certo, c’era un connotato politico, ma questo non lo ha trasformato in un processo ”speciale”. Il giudice non deve pensare a fare la storia, ma ad applicare la legge secondo la propria coscienza. Qualcuno ha pure parlato di una nostra presunta ”grande fretta di assolvere Dell’Utri”, per il mancato accoglimento di alcune richieste dell’accusa. Ma noi abbiamo rigettato istanze sia dell’accusa che della difesa…».
Critiche anche per i sei giorni in camera di consiglio. Troppi, si è detto.
«Hanno detto che era una durata ”di facciata”… Come se il giudice non avesse il preciso obbligo di verificare ogni dato processuale».
Alla fine i sussurri, le grida: astenetevi…
«Non posso escludere che questo possa essere stato l’obiettivo che qualcuno aveva perseguito. Ma non ci abbiamo pensato neppure per un momento, a lasciare. Cosa avremmo dovuto temere? Di essere intimiditi? Un giudice libero ed indipendente non subisce intimidazioni».
E ora che farà il giudice Dall’Acqua?
«Vado a Caltanissetta a tempo pieno. Proseguirò nel mio lavoro, a condizione però che possa svolgerlo com’è stato in quarant’anni di carriera: in assoluta autonomia e indipendenza. In mancanza di queste condizioni, saprei cos’altro fare».
Cioè?
«Mi dedicherò alla passione della mia vita. La cura delle mie ortensie».