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 2010  luglio 07 Mercoledì calendario

LE PAROLE DELLA SOLITUDINE - 26

ottobre 51

Caro R.,
leggo sui giornali che la neve ha ricoperto da poco il suo paese. Non so immaginare più dolce atmosfera per il suo ritorno, per il suo lavoro, e ne sono molto felice.
In questi giorni di scirocco e di tramontana a Firenze non faccio che studiare, quasi sempre sola. Il mio cuore oscilla come un pendolo, a duri colpi laterali – sicché mi trovo sempre al centro di una specie di terremoto ondulatorio. Ma forse è solo un disturbo nervoso, che passerà col tempo.
Oggi ho letto per quasi sei ore un nuovo libro di S.[imone] Weil La condition ouvrière. C´è tutta intera la passione della sua giovinezza, inestricabile dagli altri libri e quasi inimmaginabile. Lettere, un diario d´officina, un autografo – (Sulla scrittura angosciosamente puerile, il cerchio umido e nero di un bicchiere. Piccoli disegni di utensili che sembrano grondare sangue).
Arrivederci, caro amico. Non mi scriva se non lo desidera. La ricorda affettuosamente
Vittoria

22 dicembre 1951

Caro R.,
la sua lettera, odorosa di ognissanti, di pigne fresche e di libri, mi fece un gran piacere. Ora manca poco al Natale e mi piace scriverle con questo pensiero, immaginando la pace della sua casa. Qui la nebbia si addensa, bianca o purpurea, sino a toglierci ogni senso della realtà: come ombre ci muoviamo per invisibili vie, appena guidati dalla lentissima e lontanissima costellazione di un tranvai, o dal cenno puro, e subito cancellato, di un albero. Sino a pochi giorni fa quest´atmosfera mi colmava di gioia – ma da ieri tutto si è spento nella nebbia, perché subito dopo Natale mia madre dovrà subire una operazione. Nulla di preoccupante per ora – ma mi sembra che le rose e il vischio non abbiano più significato per me – né possano riaverlo finché tutto questo non sia passato.
Nella sua lettera non mi dice nulla del suo prossimo futuro. Vorrei non dimenticasse che in qualunque difficoltà può contare su di noi. Purtroppo io non posso molto quando si tratta di professori universitari (solo maltrattarne uno di quando in quando) ma a volte so inventare rimedi e aiuti impensati. Mi scriva la prego: che pensa di fare, che possiamo fare per lei. E ora, se non mi spazientisse la distesa gelida di questo foglio (simbolico di pianure allagate e invalicabili monti) vorrei dirle qualcosa di Scéve. un delicatissimo e inquietante poeta – il solo forse dopo Villon a raccogliere pura l´anima della sua lingua. Come clima, le sestine di Délie mi ricordano intensamente i sonetti di Shakespeare (...)
Vittoria
Mercoledì 13.2.52

Caro R.,
a me sembra che la primavera abbia tutti gli attributi del poema perfetto; ritmo e controritmo, sapore massimo di ogni istante, capovolgersi continuo di tempo e di spazio – Non prova lei, in questi giorni, una sensazione come di bocci che si distacchino con dolore dai rami mentre le foglie cadute vi ritornano in volo? Non le accade di attendere pallido, col cuore in gola il suo passato, di piangere rabbiosamente il suo futuro? Non la prende l´impulso di dare tutto il suo sangue a ciò che ama e insieme quello di fuggire nel più lontano chissàdove, solo come il primo uomo, in un´aria di schiuma e di buona ventura? E una voglia di vivere tale da desiderare d´esser già morto (...).

A presto, caro amico.
Molto affettuosamente
Vittoria

23.3.1952

Caro R.,
(...) Questa primavera mi rende difficilissimo lavorare. Ho trascorso a Roma una settimana molto bella: le strade come grandi tapis-roulants d´oro azzurro e la notte una pioggia purpurea sulle selci nere delle piazze. Giravo sola (ignorando i musei) e tutti mi davano fiori. Sono entrata quasi per caso nella sala di Modigliani alla quadriennale, e ho visto le pallide teste leggere «tutte piegate dallo stesso vento». La notte non potevo dormire e lo scroscio notturno del traffico sulla via del Tritone mi faceva pensare d´aver la stanza in cima alla grande fontana. (Gocciavano più forti nel corridoio i passi di un altro insonne, mio vicino di stanza) (...)
Mi scriva presto se può. La ringrazio ancora di tutto.
Mille affettuosi auguri da
V.

22 maggio 54

Caro R.,
(...) Verrai dunque a vedere Paolo Uccello, e Piero, e Masaccio? Da tempo avrei voluto parlarti di questa mostra, che credo rimarrà al centro del tuo mondo ideale, fusa ai più alti momenti dei poeti e dei musicisti che ami. C´è una Resurrezione di Paolo Uccello (il rosone del Duomo di Firenze) che è come l´esplosione di un cratere in fondo al mare – morte e vita strette in una vertigine tale che persino gli elementi sembrano penetrare l´uno nell´altro: la roccia è acqua il vento è roccia, e la superficie terrestre, con l´esplosione dei suoi frutti e fiori, si è fatta tunica di quel Cristo a piedi legati, che esplode in alto, fisso come un sole (...). Buona notte, ora, caro R. Ti ho scritto faticosamente, dopo una giornata priva di raccoglimento; e vedi anche dalla scrittura come la mano tremi di stanchezza.
V.
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