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 2010  luglio 07 Mercoledì calendario

IL LUGLIO 1960 SANGUINA ANCORA

«Morti di Reggio Emilia, uscite dalla fossa...». Tra le canzoni della sinistra, quella di Fausto Amodei è di certo tra le più note. Era il 7 luglio 1960, quando le forze dell’ordine aprirono il fuoco sui manifestanti reggiani che protestavano contro un governo monocolore democristiano appoggiato dai neofascisti del Msi. Cinque persone vennero uccise (altre cinque vittime caddero negli stessi giorni in Sicilia) e il presidente del Consiglio Fernando Tambroni dovette dimettersi.
 passato mezzo secolo, ma le passioni non si sono spente. I familiari dei morti di Reggio hanno chiesto la revisione del processo sull’eccidio, chiuso nel 1964 senza colpevoli. E il giudizio sul governo Tambroni resta controverso. Va ricordato che a Genova pochi giorni prima, il 30 giugno 1960, c’erano stati duri scontri di piazza, che avevano impedito al Msi di tenere il suo VI Congresso nella città ligure. E che ancora di recente un convegno su quei fatti, organizzato a Genova dall’associazione «Destra domani», è stato rinviato per timore d’incidenti.
Ma davvero chi scese in piazza nell’estate del 1960 contribuì a salvare la Costituzione? Ne è convinto il giornalista Annibale Paloscia, autore del saggio Al tempo di Tambroni (pp. 307,
e 17), edito da Mursia. «Non ci sono prove che il governo puntasse a una svolta autoritaria, ma il suo comportamento fu tale da giustificare forti preoccupazioni, espresse anche da un moderato come Aldo Moro. Il governo Tambroni nacque in un contesto ambiguo, perché il premier veniva dalla sinistra democristiana, ma poi, ottenuto l’appoggio del Msi, si configurò come un tentativo di rilanciare in Italia il clima più aspro della guerra fredda, che aveva gravemente ostacolato l’attuazione delle norme costituzionali».
Diversa la valutazione di un saggio uscito di recente su «Nuova Storia Contemporanea», opera del giovane studioso Federico Robbe: «Il governo Tambroni – dice l’autore – aveva le carte in regola con la Costituzione, visto che aveva ottenuto la fiducia del Parlamento. E non collegherei la crisi del luglio 1960 alla guerra fredda. I documenti che ho consultato negli archivi di Washington dimostrano che Tambroni cercò sostegno presso l’ambasciata degli Usa, ma non l’ottenne, perché gli americani guardavano con estrema diffidenza al coinvolgimento del Msi, che consideravano inaffidabile dal punto di vista democratico».
Eppure proprio il Congresso di Genova, secondo il segretario del Msi Arturo Michelini, doveva sancire la rottura con le nostalgie in camicia nera: «L’intento del leader missino era quello – osserva Paloscia – ma la minoranza, guidata da Giorgio Almirante, volle il congresso a Genova, vicino al sacrario della Resistenza, come gesto di sfida agli antifascisti. Una provocazione che venne raccolta in primo luogo dal socialista Sandro Pertini, che tenne un discorso incendiario. Annullato il congresso del Msi per via dei tumulti, credo che il governo abbia cercato la rivincita. Non si spara sulla folla nel modo in cui lo si fece Reggio, se non c’è un impulso dall’alto».
Secondo Robbe pesarono anche fattori locali: «Tre giorni prima c’erano stati tafferugli davanti alla sede del Msi reggiano e diversi agenti erano rimasti contusi: probabilmente ne scaturì nella polizia una pericolosa voglia di rivalsa. Le proteste di quei giorni furono molto aggressive: in fondo nel 1956 il Msi aveva tenuto un congresso a Milano, città medaglia d’oro della Resistenza come Genova, e non era successo nulla. Gli stessi dirigenti del Pci, che avevano sollecitato la reazione popolare, poi si impegnarono per frenare l’impeto dei manifestanti. Un certo estremismo violento ha le sue radici anche nel luglio 1960».
E gli eventi siciliani? Lo studioso Andrea Micciché vi ha dedicato il libro Catania, luglio ”60, di prossima uscita con l’editore Ediesse, che rientra nelle iniziative della Fondazione Di Vittorio per il cinquantenario della crisi Tambroni. «Al Sud’ nota Micciché – la protesta ebbe un più accentuato carattere sociale. Il primo morto fu a Licata, per un corteo contro la disoccupazione cui aveva aderito anche la giunta comunale a guida democristiana. La Sicilia scese in piazza perché si sentiva esclusa dai benefici del boom. Ma proprio per questo il luglio 1960 contribuì a unificare questione meridionale e antifascismo, fornendo alla sinistra un mito fondativo che valeva tanto al Nord quanto al Sud».
Paloscia lo vede come una spartiacque fondamentale: «Il luglio 1960 cambiò l’Italia. Il centrosinistra, le riforme sociali, i diritti civili, i mutamenti del costume ricevettero un impulso decisivo dal rilancio dell’antifascismo».
Robbe però obietta che quella svolta celava un grosso equivoco: «L’identificazione tra antifascismo e democrazia porta alla conclusione che i più risoluti antifascisti, cioè i comunisti, sono anche i più sinceri democratici: così il Pci si procurò una legittimazione ideologica assai discutibile».
Antonio Carioti