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 2010  luglio 07 Mercoledì calendario

«E’

una cosa che mi offende profondamente. Voglio che il mio nome sia immediatamente ritirato». E’ un Busi furioso quello che commenta la sua inclusione nella cinquina di finalisti del «premio Bari» di letteratura. Lo fa lui direttamente, telefonando ai giornali e dettando una irritata e velenosa dichiarazione, che spiega le sue ragioni: «Per iscrivere un libro a un qualsiasi premio letterario ci vuole il consenso dello scrittore: io non ho alcuna intenzione di far partecipare il mio Aaa! ad alcun premio letterario di merda, tantomeno a uno che porta il nome di Tatarella, un fascista almirantiano con la cui memoria non voglio avere nulla a che vedere, sotto l’egida di gente come Pedullà, Bossi Fedrigotti e gli altri componenti di quel comitato catto-fascista che mi ha scelto. D’altronde, se fosse stato catto-comunista sarebbe stato identico il mio rifiuto. Mi sento molto insultato, non solo dal premio, ma dalla mia casa editrice, la Bompiani, che non mi ha consultato in merito. Ho già dato mandato ai miei legali di far cancellare il mio nome dai finalisti del premio».

Aldo Busi era senz’altro il più clamoroso tra i cinque finalisti del premio, presentati ieri nella tarda mattinata. «Un escamotage per dare importanza a un premio di merda», secondo il diretto interessato (che, come sua abitudine, non la manda a dire). Invece, un «membro fondatore» del comitato scientifico del premio come lo scrittore Raffaele Nigro, aveva giustificato la scelta ai microfoni del Corriere in altro modo: «Una scelta un po’ provocatoria. Sono indubitabili le qualità di scrittore di Busi, ma questo certamente non è Seminario sulla gioventù. Però, è una forma di racconto dalla quale emerge il suo disagio in una società così mediatica, nella quale ci sono poteri così forti ma anche così superficiali. Volevamo mettere in mano ai giurati "popolari", gli studenti che poi dovranno decidere il vincitore del premio, un tipo di narrativa diversa dal romanzo di genere». In ogni caso, Nigro confessa di aver «tifato» per Emanuele Trevi, autore per Rizzoli de Il libro della gioia perpetua, altro finalista insieme a Fois, Montanari e Nucci. Ma ricapitoliamo gli eventi di ieri riprendendo il filo del racconto dal momento in cui il comitato scientifico ha annunciato i nomi dei finalisti. A dispetto dei catastrofici annunci delle scorse settimane, quando sembrava che il Premio Città di Bari fosse ormai agonizzante. Nessun rito funebre, dunque, per la manifestazione letteraria voluta e sostenuta a fine anni Novanta da Pinuccio Tatarella e a lui intitolata.

Al contrario, c’è aria di rinnovamento. Già a partire dai nomi del comitato, e poi via via anche nel merito delle candidature, laddove anche la sezione saggistica partecipa da quest’anno alla seconda fase del Premio, con tre titoli sottoposti al giudizio degli studenti universitari e delle scuole superiori, al pari dei cinque libri in gara per la narrativa. Saranno dunque Lucio Villari ( Bella e perduta. L’Italia del Risorgimento), Sergio Luzzatto ( Bonbon Robespierre) e Riccardo Chiaberge ( Lo scisma) i primi finalisti di questo nuovo corso. Nomi altisonanti, ciascuno a suo modo, per case editrici altrettanto significative: si va da Laterza (che già si aggiudicò il premio nel 2006 con Le due Italie di Claudia Petraccone) per il saggio storico di Villari, a Einaudi per l’insolita biografia di Luzzatto (il protagonista è il fratello di Robespierre) e Longanesi per il viaggio di Chiaberge nel mondo dei «cattolici disobbedienti». Una menzione speciale è poi andata al libro su Gramsci di Pasquale Voza, che non è entrato in terzina, spiega Nigro, un po’ per ragioni di opportunità, visto che è realizzato con il contributo della Regione Puglia, un po’ perché si tratta «di un lavoro sistemativo più che di un saggio provocatorio». Quanto alla narrativa, anche in omaggio all’ordine alfabetico, il primo nome a saltare agli occhi era, ovviamente, quello di Busi.

E quel suo strano titolo Aaa! (Bompiani), assolutamente in linea con il personaggio, stravagante, dissacrante, contro. Marcello Fois accede invece alla finale con Stirpe (Einaudi), prima tappa - ottocentesca - di un’epopea familiare e, potrebbe dirsi, regionale, che l’autore sardo promette di far arrivare fino ai nostri giorni. E’ storia insolita d’un amore «indomabile» quella narrata poi da Raul Montanari in Strane cose, domani (Baldini Castoldi Dalai), mentre a chiudere la cinquina troviamo il recente finalista del Premio Strega, Matteo Nucci: il suo Sono comuni le cose degli amici (Ponte alle Grazie 2010, pp. 217, euro 14.50) è molto caro al presidente di giuria Pedullà, che già lo aveva presentato con entusiasmo ai colleghi di Casa Bellonci. Ma ora, dopo il gran rifiuto di Busi, i giochi si riapriranno.

Rossella Trabace, Fabrizio Versienti