Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  luglio 07 Mercoledì calendario

SE E’ IL PAPA’ A CHIEDERE GLI ALIMENTI ALLA FIGLIA

«Onora il padre e la madre» è un precetto etico, religioso ma anche giuridico. un prin­cipio universale talmente ovvio, istintivo e nell’ordine naturale delle cose, da essere con­siderato indiscutibile, salvo nei casi, inquie­tanti e paradossali, che vedono genitori sfrut­tare, abusare, abbandonare, uccidere i figli.
Di solito, invece, i genitori i figli li amano, per loro lavorano, si sacrificano, si angoscia­no, soffrono nel farli crescere, li nutrono di ci­bo, tempo, attenzioni e tanto denaro. I figli, nella circolarità dell’esistenza, dovreb­bero amarli e onorarli altret­tanto. Anche mantenerli se necessario.
Invece da tempo qualcosa è cambiato. Al punto che un precetto condiviso da tutti, persino tra i selvaggi, gli anal­fabeti e i popoli più crudeli, si è stemperato sino a perdere la sua forza morale e cogente.
Prova ne sia il fatto che un padre, finito in miseria, sia co­stretto a rivolgersi al Giudice per avere l’aiuto economico dalla figlia. Quella figlia alla quale, in un passato di splen­dore e denaro, aveva pure re­galato un immobile, dopo averla mantenuta alla grande e in proporzione alla ricchez­za di allora.
La situazione non è così sin­golare come si vorrebbe poter credere.
Sono tanti i genitori che si sono svenati per mantenere i figli, pagare i loro studi, aiutar­li nell’acquisto della casa e nell’allevamento dei nipoti, e poi da pensionati senza rispar­mi, si scoprono abbandonati o quantomeno trascurati.
Ci sono genitori anziani che non possono godersi la vita e la compagnia dei lori nipoti­ni, perché figli, nuore o generi assumono altezzose posizio­ni di superiorità, che finisco­no col generare umiliazioni e conflitti proprio con chi ha de­dicato loro tempo, cuore e sa­lute.
Ci sono vecchi lasciati a se stessi nelle strutture pubbli­che o private, o relegati nelle proprie abitazioni silenziose alla mercé dei turni successivi di badanza di romeni e filippi­ni.
Ci sono mamme e papà che ancora tanto potrebbero dire e fare per nutrire e impreziosi­re la vita e il pensiero dei figli; e invece da questi vengono vi­gliaccamente e barbaramen­te tolti di mezzo per conqui­starne risparmi; cioè quello che queste bestie crudeli di fi­gli ritengono un loro diritto: l’eredità, prima che sia consu­mata in medici, medicine e as­sistenza domestica.
Il nostro codice è chiarissi­mo: non esiste un dovere dei genitori, morendo, di lasciare per forza un patrimonio. Ne­anche dei genitori ricchissi­mi. Se c’è, in parte viene distri­buito ai figli. Ma chiunque ha il diritto di spendersi tutto ciò che si è guadagnato, fino all’ul­timo euro, e di morire da nul­la­tenente senza dovere accan­tonare e distribuire alcunché. Invece i figli hanno il preciso dovere (ex art. 433 c.c.) di pre­stare gli alimenti ai genitori che si trovano in stato di biso­gno. E «prestare» non vuol di­re che abbiano, i figli, diritto alla restituzione delle somme versate per adempiere all’ob­bligo giuridico. Alcuni studio­si riconducono il diritto agli alimenti alla categoria dei di­ritti di credito, e ne spiegano la ragione nel diritto fonda­mentale di solidarietà e coo­perazione che caratterizza il diritto di famiglia.
Non solo: chi ha ricevuto in dono un bene da chi in segui­to rimane privo di mezzi di sussistenza, ha l’obbligo poi di prestare gli alimenti al do­nante, anche se non ne è fi­glio. A maggior ragione se lo è. volgare persino doverne parlare, giacché l’obiettiva­mente giusto non merita opi­nioni diverse.
Se c’è il diritto dei figli, legit­timi o naturali riconosciuti o adottivi, a essere mantenuti fi­no all’autonomia economica (art. 147 c.c.), non può non es­serci il reciproco dovere a mantenere i genitori che l’au­tonomia economica hanno perduto. Il Codice non fa sconti.
Purtroppo, però, gli ultimi decenni hanno rivoluziona­to la costellazione familiare: Spock, Montessori, le varie di­chiarazioni dei diritti dei fan­ciulli, se pure hanno messo nella giusta luce le esigenze e le necessarie tutele dei mino­ri, se pure hanno portato il sa­crosanto rispetto ai bambini, hanno coltivato la mentalità figliocentrica della famiglia. I genitori hanno messo al cen­tro del mondo il benessere dei figli e hanno rinunciato all’autorità e alla educazione anche sanzionatoria. Se a ciò si aggiunge l’esasperata par­cellizzazione dei diritti indivi­duali senza la corrispettiva consapevolezza dei doveri, la pretesa assistenzialista di chiunque veda nello Stato la mamma munifica, nonché l’incapacità diffusa di assu­mersi responsabilità, si può capire perché molti giovani crescano con la convinzione onnipotente di avere diritto a qualsiasi cosa, senza dover restituire niente. Neppure un grazie. Si può comprende­r­e perché alcuni di quelli alle­vati in famiglie benestanti preferiscano avere aspettati­ve sulla morte dei genitori, qualcuno anticipandola, piuttosto che investire le for­ze nel crearsi la propria vita. Sessant’anni fa ci si rivolge­va al padre usando il «voi»; og­gi un povero padre si deve ri­volgere al giudice per avere un tozzo di pane dalla figlia più che beneficata nel roseo passato.
 evidente che c’è qualcosa di molto sbagliato: non solo nei figli senz’anima, viziati ed egoisti, ma anche in quei genitori che, fin dalla loro na­scita, diventano supinamen­te schiavi del futuro dei figli, anziché- come è diritto indi­scutibile di chiunque- resta­re protagonisti e al governo della propria vita, anche fu­tura.