Ugo Bertone, Libero 4/7/2010, 4 luglio 2010
La Turchia ci guadagna a restare fuori dall’Europa Cose turche. L’ultima moda del mercato immobiliare è la casa in Turchia
La Turchia ci guadagna a restare fuori dall’Europa Cose turche. L’ultima moda del mercato immobiliare è la casa in Turchia. Ad Antalya, meta preferita dai tedeschi, oppure nella regione di Mugla, scelta dagli inglesi. Istanbul, invece, è corteggiata dai compratori mediorientali, sauditi ed egiziani in testa. Insomma, nell’ultimo anno più di 30mila sudditi di Sua Maestà britannica hanno voltato le spalle alle coste della Spagna e del Portogallo per investire in Turchia. Anche per fare un buon affare. ”Un affitto può rendere il 5,5-6% commenta Stuart Johnson, agente immobiliare inglese che ha fatto le valigie alla volta di Istanbul E le case hanno un prezzo contenuto: per 50 mila euro si può comprare un bel bilocale che rende fino al 7,5%, esentasse per i primi 5 anni”. Il rimbalzo dopo il crollo Cose turche. Quasi a sorpresa, l’economia di Ankara è balzata in testa nella classifica della ripresa internazionale. Nel primo trimestre del 2010, infatti, il pil ha mezzo a segno un rialzo spettacolare: l’11,5 per cento. Per carità, i primi a frenare gli entusiasmi sono gli economisti locali, come Asaf Saves: «ll primo trimestre del 2009 spiega è stato il più difficile. E non dimentichiamo che nel 2009 c’è stata una frana del 14,7%. Se guardiamo a fine anno, la crescita è solo dello 0,1». Ma pure lui conviene con il premier, Recep Tayyp Erdogan, leader dell’Akp (che sta per Giustizia e Sviluppo): la recessione è alle spalle, nel 2010 la Turchia crescerà del 3,5% grazie anche alla sgommata dell’auto (+81%), comprese le vetture prodotte a Bursa, nella joint venture turca di Fiat che piace, per efficienza e qualità, a Sergio Marchionne. E non è fuori luogo parlare di gomme se si pensa che le gomme Pirelli per la Formula 1 verranno prodotte ad Izmit dove già nascono gli altri pneumatici da corsa della Bicocca. Ma non è difficile trovare altri esempi di eccellenza italiana. Qui il ”made in Italy” conta 790 imprese, l’assistenza bancaria offerta dalla joint venture di Unicredit con la famiglia Koc (partner di Fiat in Tofas), un saldo attivo della bilancia commerciale di 1,6 miliardi su un giro complessivo di 13,6 miliardi di dollari che fanno del Bel Paese il quarto partner commerciale del Paese leader dell’area, con i suoi 75 milioni di abitanti. I grandi fondi verso Istanbul Cose turche. Da qualche mese i gestori di Londra e Wall Street, ansiosi di sfuggire alle trappole della crisi dell’Ovest, hanno ripreso la rotta di Istanbul: nel fondo Charlemagne, boutique di punta per gli emergenti, gli investimenti sulla Turchia hanno già superato quelli verso la Cina e il Brasile. Dopo il successo dei Bric (Brasile Russia, India e Cina) presto, assicurano gli analisti toccherà agli Stim (Sud Africa, Turchia, Indonesia e Messico). E non mancano ancora previsioni più ardite: nel 2050 , scrive un report di Price Waterhouse, il reddito medio turco sarà eguale a quello americano. Cose turche. Per quasi un decennio, la stella polare della politica di Ankara è stata la marcia verso l’Unione Europea. L’attrazione non è finita, anche se si procede a passo da lumaca: sono stati esaminati , dal 2004, 13 capitoli su 35. Ma non tutto il male viene per nuocere: Nel 2001, i rivali della Grecia erano ad un passo dall’euro, forti di un tasso di crescita del 3 per cento. Istanbul, al contrario, era in bolletta, la lira svalutava del 47%, le banche salvate solo dal prestito del Fondo Monetario. In dieci anni, senza Eurozona, la situazione si è rovesciata: il debito pubblico è pari al 50,8% del pil, a maggio l’inflazione si è attestata al 9,1% (il dato su giugno è atteso in calo) e il conto con l’Fmi sarà saldato entro l’anno. Ma nel frattempo, Erdogan, leader di un partito musulmano nella terra del pensiero laico di Ataturk, ha riscoper- to la strada dell’Oriente, secondo la ricetta del ministro degli Esteri Ahmed Devotoglu: «Gli affari si fanno soprattutto con i vicini di casa». Ovvero, non esiste un turco senza un arabo vicino. E così, grazie alla svolta filoaraba ed alle tensioni diplomatiche (e non solo) con Israele, si è aperta la rotta d’Oriente: negli ultimi tre anni, dai Paesi del Golfo sono arrivati investimenti per 60 miliardi di dollari, tre volte tanto quanto nei vent’anni precedenti. E l’export delle merci turche, la potenza manifatturiera delle regioni, ha fatto boom verso l’Arabia Saudita (+54%) , l’Iran (+29) o la stessa Siria (+35,7) nel giro di poche stagioni promosso da Paese canaglia a partner commerciale di prim’ordine. Tensioni religiose e ambizioni politiche Cose turche. La svolta religiosa e filo araba di Erdogan doveva, secondo gli osservatori, creare profonde lacerazioni in un Paese diviso. Certo, nonostante gli sforzi del premier, la questione curda resta drammatica, come dimostra l’attentato di Istanbul. Ma l’ostilità dei militari si è ammorbidita, grazie al muro a muro contro Israele. E il nemico uno, l’editore Aydin Degan, è stato in pratica annientato da una multa fiscale da 3 miliardi di dollari. Certo, agli ame- ricani non è piaciuto l’attivismo per trovare, assieme al premier brasiliano Lula, una via d’uscita per il nucleare iraniano. Ma ci sono tre buoni motivi per rispettare la Turchia quale nuova potenza regionale: l’influenza verso il centro Asia di lingua turca (cosa che oggettivamente, converge con gli interessi Usa contro la Russia); l’influenza nei confronti del mondo musulmano. E, soprattutto, il fatto che dall’Anatolia passano tutte le vie del gas e dell’energia che dal Caucaso ed al Caspio convergono verso l’Italia, sia che si tratti di South Stream (Eni), l’Igp caro ad Edison o il progetto Nabucco caldeggiato da Bruxelles. Cose turche. Per avere un’idea delle tensioni e degli estremi affascinanti di questo Paese che corre verso il suo futuro basta sfogliare una pagina dell’Hurriyet o di un altro quotidiano di quella splendida megalopoli che è Istanbul. Nella stessa giornata, si può registrare la protesta delle donne del Sud Est in corteo contro la proposta del sindaco, Halid Bakiri, che vuole il ritorno alla bigamia per venire incontro alla ”cultura curda”. Ma anche i 40mila ragazzi con piercing e minigonne in delirio, allo stadio del Besiktas, per il concerto dei Metallica. O il divieto ai gruppi rock di suonare nei locali all’aperto sul Bosforo dopo mezzanotte. Anche queste sono cose turche.