Giovanna Lantini, il Fatto Quotidiano 4/7/2010;, 4 luglio 2010
LA RAGNATELA DELLE BANCHE
Il banco piange. Qualche volta. Soprattutto quando si inizia a parlare di riforme che aumentano le tasse e i controlli nonché di riduzione del numero dei posti nei consigli di amministrazione. Temi di attualità che mettono in discussione gli assetti di comando negli istituti di credito italiani. E che, quindi, agitano i signori delle banche, quelli che decidono sui crediti alle imprese. Politici, imprenditori e manager intorno ai quali ruota un sistema di 815 istituti di credito di cui, secondo i numeri dell’Associazione bancaria italiana: 83 grandi gruppi e ben 433 di credito cooperativo. Quello italiano è un sistema molto frammentato che fa gola a grandi istituti di credito internazionali, capaci di offrire servizi alle imprese e ai cittadini a prezzi mediamente più contenuti rispetto a quelli delle piccole realtà.
UN PAESE BLINDATO. Ma entrare a fare business nel Paese che le banche le ha inventate non è cosa facile per gli stranieri. Se lo ricordano bene gli spagnoli del Banco Bilbao che nel 2005 tentarono di rilevare la Bnl, banca poi finita, dopo lunghe trattative, nelle mani della francese Bnp Paribas. Tanto più che le relazioni pericolose tra politica e sistema creditizio sono fra le più complesse d’Europa: l’attenzione sulla riforma delle fondazioni bancarie è così alta che, nonostante sia ancora in gestazione, ha visto il Consiglio dei ministri nella seduta del 10 giugno scorso delegare il governo in merito. Per ora di certo c’è il fatto che la vigilanza sugli 88 enti che controllano la maggior parte degli istituti di credito italiani resterà in mano al ministero del Tesoro, e non è escluso il potenziamento del ruolo del dicastero in mano a Giulio Tremonti. Ipotesi che ha suscitato non pochi nervosismi tra i diretti interessati. Altrettanto certo è, poi, che dopo le Regionali, c’è stato un deciso ritorno di fiamma della politica per gli istituti di credito e per i loro soci. Sullo sfondo l’Europa che, dopo aver costretto a nuove regole di patrimonializzazione gli istituti italiani, prepara ora un nuovo attacco sul numero dei consigli cui è lecito partecipare, sulla qualità e la provenienza dei candidati, sulla supervisione e sulla coincidenza delle funzioni di amministratore e presidente. Tutti argomenti che offrono ancora margini per un buon numero di spigolature, come ha rilevato anche il numero uno dell’Antitrust, Antonio Catricalà, nella sua ultima relazione annuale puntando il dito contro la peculiarità italiana ”degli intrecci azionari e personali tra imprese concorrenti”.
LE GRANDI BANCHE. Da questi rilievi l’amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo non si è sentito toccato, secondo il banchiere la stoccata dell’autorithy ”certamente non riguarda Unicredit”. Eppure i fatti non sembrano dargli pienamente ragione. Unicredit, infatti, condivide il proprio presidente Dieter Rampl con il vicepresidente di Mediobanca di cui l’istituto diretto da Profumo è azionista. Non solo: il vicepresidente della banca milanese di Piazza Cordusio, Fabrizio Palenzona, è anche membro del cda di Mediobanca e della Fondazione della Cassa di Risparmio di Alessandria. Senza contare tutta una serie di altri incarichi fra cui spiccano la presidenza di Gemina e l’incarico all’interno del comitato esecutivo della Giunta degli industriali di Roma. Naturalmente Unicredit, che in cda ha anche pezzi da novanta dell’imprenditoria italiana come Salvatore Ligresti e Carlo Pesenti, non è un caso isolato. La concorrente diretta Intesa San-paolo fa anche di meglio con l’unico indipendente del cda nella persona di Giovanni Bazoli, che però siede anche nel consiglio di Unione banche italiane, istituto presieduto da quel Corrado Faissola per il quale il presidente di Intesa avrebbe voluto un rinnovo alla guida dell’Associazione delle banche italiane. Nel consiglio di Intesa, poi, siede anche Gianluca Ponzellini, cugino del presidente della Banca Popolare di Milano (e di Impregilo), Massimo Ponzellini, ed entrambi sono vicini agli ambienti della Lega e imparentati con il fedelissimo del Senatur Umberto Bossi, Giancarlo Giorgetti.
I POLITICI. Allargando il campo di osservazione alle quotate di Piazza Affari, poi, si nota immediatamente come nei cda delle banche più grandi siano disseminati politici o parenti stretti dei politici, imprenditori e consiglieri e sindaci di altre banche. Per esempio alla Banca Carige, di cui è primo socio la Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia con il 43 per cento, va il primato della politica: Alessandro Scajola, fratello del più noto Claudio, ex ministro dello Sviluppo economico, è vicepresidente dell’istituto. Nel consiglio di amministrazione siede anche Luca Bonsignore, figlio di Vito, ex parlamentare Udc oggi Pdl, Vito, che, assieme al fratello Francesco, fu coinvolto nelle vicende della lista di evasori del Liechtenstein per un totale di 5 milioni e 600 mila euro. C’è poi anche il presidente di Telecom Italia, Gabriele Galateri di Genola che, con il suo recentissimo passato in Mediobanca e Generali, è stato prescelto in Carige per il comitato nomine e remunerazioni. In Banca Finnat Euramerica (quella del banchiere Angelo Nattino, coinvolto nell’inchiesta per la scalata alla Bnl a fianco di Francesco Gaetano Caltagirone, Stefano Ricucci, Danilo Coppola, Giuseppe Statuto, Vito Bonsignore e i fratelli Lo-nati), ritroviamo in consiglio il vicepresidente delle Generali e di Mps, editore e costruttore romano Francesco Gaetano Caltagirone . In compenso però il re del mattone romano si è astenuto dal mettere un piede anche in Banca Generali dove la presidenza è di Giovanni Perissinotto, amministratore delegato del gruppo assicurativo di Trieste. Nel cda dell’istituto di credito siede una forte presenza imprenditoriale: Ettore Riello, il re delle caldaie che si è candidato con il Pdl alle Europee 2009 e che è oggi alla presidenza di Verona Fiere, oltre ad essere vicepresidente di quella Palladio finanziaria che di recente, assieme a Veneto Banca attraverso il veicolo Ferak, si è rafforzata proprio nel capitale delle Assicurazioni Generali. Per restare nella stessa regione, merita di essere menzionato anche Roberto Ruozi, presidente del contraltare triestino a Mediobanca, Palladio Finanziaria, e numero uno di Mediolanum.
GLI IMPRENDITORI. Fra gli imprenditori-manager, doppietta di Piero Ferrari, figlio di Enzo e vicepresidente della Ferrari, attualmente alla guida dei velivoli di Piaggio Aero. Per lui un posto nel cda della Banca Popolare di Sondrio accanto all’industriale dell’acciaio milanese Federico Falck e uno in quello della Popolare dell’Emilia Romagna. Banca, quest’ultima che annovera nel proprio consiglio di amministrazione nientemeno che il presidente di Borsa Italiana in persona, Angelo Tantazzi. Da non trascurare, poi, il vicepresidente dell’istituto emiliano. Trattasi dell’industriale dei tortellini da poco uscito dagli autogrill (ed ex leader degli imprenditori modenesi), Vittorio Fini, in buona compagnia accanto agli altri industriali-banchieri dell’alimentare emiliano-romagnolo Flavio Amadori e Luigi Cremonini, che della Bper sono consiglieri di amministrazione. E mentre Cremonini si distingue per la compresenza dell’incarico in banca con quelli di membro della giunta di Assonime e di Confindustria-Federalimentare, oltre che nelle aziende di famiglia, Fini spicca per il solo fatto di rivestire contemporaneamente anche il ruolo di consigliere di amministrazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. Ovvero l’ente che attraverso Carimonte holding è tra gli azionisti rilevanti del gruppo Unicredit che, va ricordato, nasce dalla fusione tra Unicredito e Credito Italiano, che a sua volta, attraverso Rolo Banca, aveva incorporato i resti di Credito Romagnolo, Cassa di Risparmio di Modena e Banca del Monte di Bologna e Ravenna. Nella banca di Ennio Doris e della Fininvest, Mediolanum, ritroviamo invece nomi vicini al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Innanzitutto il figlio Luigi (a Marina, invece, è toccata la poltrona in Mediobanca), ma anche il superconsulente Bruno Ermolli e l’avvocato Paolo Sciumé, quello accusato tempo fa di concorso in intestazione fittizia di beni assieme agli imprenditori siciliani Francesco e Ignazio Zummo. Il Gip di Palermo contestò a Sciumé di aver suggerito il trasferimento del tesoro di Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo e uomo di Cosa Nostra, a Zummo e figlio, in un passaggio che coinvolge la Arner Bank delle Bahamas sino ad arrivare a Singapore tramite una affiliata della Bnp Paribas. Nello stesso consiglio, poi, siede anche Maurizio Carfagna che presentò Sciumé a Nicola Bravetti (arrestato per aver aperto un conto alla moglie di Zummo, la signora Teresa Macaluso, a Nassau per la cifra di 13 milioni di euro) della Banca Arner di Lugano. Ma tornando agli intrecci bancari, fra i sindaci spicca il doppio incarico per Ezio Simonelli che, oltre ad essere nel collegio della Banca Popolare di Milano, è anche presidente del collegio di Mediolanum. Non solo. Nel 2009 l’avvocato Simonelli è stato riconfermato presidente del Collegio dei Revisori della Lega calcio. Buon per lui. Con quello che succede in Italia, di giochi bisogna necessariamente intendersene.