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 2010  luglio 04 Domenica calendario

QUELLI DELLA PIXAR

San Francisco
D imenticate la tecnologia. Benvenuti nel mondo delle fiabe, quello eterno, il paese dei balocchi. Lo hanno nascosto bene. La sua fabbrica segreta è in una periferia industriale, Emeryville. Gli abitanti di San Francisco la conoscono solo perché vanno a farci la spesa da Ikea. Traversi il ponte della Baia, appena raggiunta la terraferma a metà strada tra Berkeley e Oakland c´è questo strano posto: depositi, officine, svincoli autostradali. Dissimulato, immerso in un´oasi verde c´è lo scatolone di mattoni rossi che contiene la Pixar.
 un nome da leggenda, il laboratorio di disegni animati creato da George Lucas (Star Wars) nel 1979, rilevato da Steve Jobs (fondatore di Apple) nel 1986. Un atelier di artisti che sono i veri eredi di Walt Disney, undici film, ventiquattro premi Oscar, il record ineguagliato di incassi nella storia dell´animazione digitale con 5,5 miliardi di dollari. Proprio la Disney lo ha comprato nel 2006 e il successo del vecchio Walt continua tra bambini e adulti grazie agli stregoni di Emeryville. Con Toy Story 3 si sono presi una bella libertà: la scena iniziale è una caricatura feroce di Hollywood, un succedersi di inseguimenti in stile western, apparizioni di extraterrestri, violenze e distruzioni a catena. L´ironia è pungente: quello lì è il cinema da non fare. Quella è la fantasia di tanti bambini di oggi stritolata, omogeneizzata dagli effetti speciali. Cinque minuti infernali, cancellati e smentiti da tutto il resto del film. Che invece sotto strati di burle frenetiche nasconde una storia molto vera di crescita e di distacco, di anni che passano e affetti che cambiano.
Andy, il bambino delle prime Toy Story, lascia la casa dei genitori per andare al college. I suoi giocattoli dell´infanzia finiranno in soffitta o nella spazzatura. A meno che servano a qualche altro bambino? Il resto non va detto.
Da aficionado dei disegni animati non tollero che si rovini la sorpresa. Solo la sede di Google e di Apple, tutt´e due qui vicine nella Silicon Valley, sono circondate da un simile alone di mistero, di fascino, e di gelosa segretezza. raro poter sbirciare nel laboratorio dei sogni. Quando si apre, in occasione dell´uscita di Toy Story 3, l´esplorazione segue riti severi. All´ingresso del campus di Emeryville devi consegnare ogni gadget elettronico, telefonino compreso: guai a "rubare" le immagini dei maghi. Quando sei finalmente disarmato, più che la sede della Nasa è un parco-giochi quello che si disvela. In mezzo ai viali alberati immersi nel sole californiano, in formato gigante ti dà il benvenuto la lampada flessibile, simbolo dell´"idea Pixar" nei titoli di apertura dei film. In un cortile tra i giardini c´è un baule di giocattoli. Dal cofano aperto spuntano il cowboy Woody, l´astronauta Buzz, la fanciulla del West Jessie, pupazzoni giganti. L´aspetto da parco-giochi continua dentro la palazzina degli studi cinematografici: anche lì personaggi dei film in dimensione maxi.
Non siamo a Disneyland, non ci sono orde di turisti, i rari visitatori si muovono circospetti. Come in Toy Story, questi giocattoloni forse ci osservano, fanno finta di essere immobili, si animeranno dietro le nostre spalle. Nell´atrio principale della palazzina un´insegna al neon («Aperto 24 ore!») sembra l´ingresso di una discoteca. la sala dei computer che materializzano le animazioni digitali degli artisti. Gli atelier dei creativi sono ben visibili ai piani alti, perché tutto l´edificio è fatto di vetrate, invaso dal sole come se si lavorasse all´aperto. Ognuno può disegnare il suo studio come gli pare: ce n´è uno in stile capanna polinesiana, un altro sembra una comune hippy degli anni Settanta. Ci sono bar-birrerie. Il paese dei balocchi è costruito perché gli artisti restino sempre bambini, nulla deve evocare un "lavoro".
Eppure non si è prodotta qui la prima scintilla di Toy Story 3. Per trovare l´idea iniziale, la storia giusta, c´è un luogo più remoto. il Loft del Poeta, uno chalet a Tomales Bay, una spiaggia a settanta chilometri a nord da San Francisco. Tra scogliere battute dai venti del Pacifico, in un luogo dove regnano foche e gabbiani, lì si diedero appuntamento tre anni fa gli artisti del team creativo, guidati dal regista Lee Unkrich. Lo sceneggiatore Michael Arndt (quello di Little Miss Sunshine) aveva provato a sottrarsi al ritiro. «Volevo lavorare come per i film normali - dice - cioè da solitario nella mia casa di New York, e mandargli i testi man mano che li scrivevo». Impossibile. Proibito dalle regole sacre della casa. «Il Primo comandamento della Pixar è questo: i film non si fanno come a Hollywood, con squadre di mercenari formate per l´occasione, che poi si disfano e ciascuno riparte per conto suo».
Il team creativo include autori che a Emeryville sono la memoria storica di tanti film precedenti, insieme con gli innesti più recenti venuti dal cinema d´autore. Sono abituati al gioco al massacro che avviene nello chalet sulla spiaggia. «Proibiti i telefonini, la tv, i contatti col mondo esterno - dice il regista Unkrich - si sta in clausura». Un´idea di storia viene rigirata da tutte le parti, bersagliata in un tiro a segno. Così è stato bocciato un spunto che forse sarebbe stato geniale: l´astronauta Buzz, made in Taiwan, viene richiamato dalla fabbrica per un difetto, si ritrova in mezzo a un popolo di giocattoli che furono amati dai bambini ma tornano nelle mani del creatore. una storia che non vedremo mai. Solo quando i creativi sono convinti di aver trovato la trama giusta, lasciano la costa selvaggia di Tomales Bay e tornano nel paese dei balocchi di Emeryville. Gli artisti cominciano a sfornare bozzetti. Prendono forma una scena dopo l´altra ma sono ancora statiche, come nei fumetti. Si riuniscono in una sala con una grande lavagna e recitano ogni pezzo di storia accennato in quei disegni: devono riuscire a "venderlo" ai colleghi, è il primo test per capire se funzionano, per dare corpo ai personaggi, mimarne le emozioni. Ciascuno "pubblicizza" la sua idea, s´improvvisa attore. Deve convincere, essere credibile. Passa un mese e i personaggi più importanti vengono plasmati in terracotta. Poi scannerizzati su computer. Via via si aggiungono materiali reali: pelli, tessuti, capigliature. Entrano nei "reel", le prime successioni di immagini in movimento. Le battute sono registrate, inizialmente con le voci degli impiegati della Pixar, e sottoposte al giudizio dei colleghi. « un momento cruciale per la nascita del film - dice il co-fondatore della Pixar Ed Catmull - Guardando il risultato in mezzo a una audience si comincia a capire cosa fa ridere, cosa commuove, cosa va scartato». Il primo anno se n´è andato così. Allora vengono chiamati a Emeryville gli attori che doppiano i personaggi: Tom Hanks, Tim Allen, Michael Keaton. Registrano decine di versioni diverse: sfumature, inflessioni della voce, un ventaglio da cui si sceglierà il tono giusto alla fine.
I tecnici dell´animazione progrediscono sui primi bozzetti: sagome e profili si riempiono di colore, dietro di loro appaiono gli ambienti, il Tirannosauro e l´Uomo-Patata diventano tridimensionali, la scenografia dà corpo e profondità alle stanze, ai mobili. Gli incidenti sono in agguato. Si scopre che migliaia di immagini della prima versione di Toy Story, pur conservate in memoria digitale, non possono essere rielaborate in versione tridimensionale. Quel film era del 1995, quindici anni dopo è già preistoria. Oggi il 3-D ha cambiato questo: al cinquecentesimo giorno di lavorazione ogni personaggio viene dotato di un migliaio di "avar", altrettanti punti di possibile movimento. Da quel momento in poi i disegnatori li muovono come fossero burattini, l´animazione li manipola come i fili invisibili delle marionette. Cento avar sono necessari solo per muovere le espressioni facciali. Di ogni scena vengono filmate virtualmente decine di prove, destinate al lavoro di editing, selezione, rifinitura. Scorre un tempo infinito, il contatore supera il giorno mille.
Le sale dei disegnatori sono come set di Hollywood ma i personaggi hanno la pazienza che manca alle star del cinema: migliaia e migliaia di volte devono ripetersi, aggiustare le pose di frazioni di millimetro, spostarsi rispetto a una telecamera immaginaria. La fantasia dei narratori continua a sfornare idee: la Barbie femminista, il suo bamboccione Ken catturato in una scena sadomaso, l´orsacchiotto di pelouche rosa che si rivela un capomafia, alle comiche chapliniane si aggiungono i doppi sensi e le "citazioni" di altri film per divertire il pubblico adulto. «A malincuore - dice Unkrich - al terzo anno di lavorazione abbiamo dovuto licenziare il prodotto finale. Avremmo potuto continuare all´infinito». Come artigiani medievali di una fabbrica del Duomo: le tecnologie sono la moderna versione degli scalpelli da scultori, per i perfezionisti della fiaba.