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 2010  luglio 05 Lunedì calendario

IL VIRUS PIU’ DIFFICILE DA COMBATTERE

Negli ultimi anni, in Italia, la mortalità da meningite non è aumentata; restiamo attorno al 7 per cento dei casi. Ma ciò che più spaventa, quando si parla di bambini, è la variante di Waterhouse-Friderichsen, una sindrome tipica dei pazienti più giovani: è un’infezione del sangue che causa nell’arco di pochissime ore danni devastanti alle ghiandole surrenali che producono adrenalina e noradrenalina e agiscono sulla pressione».
Il professor Giovanni Di Perri, direttore del dipartimento di Malattie Infettive dell’Università di Torino, ritiene che la piccola Olivia sia stata uccisa dalla forma più grave e più fulminante di meningite meningococcica.
Perché ci si ammala? E da che cosa dipende la sopravvivenza?
«Ancora oggi non sappiamo esattamente per quale ragione qualcuno venga colpito e qualcuno no. E neppure perché qualcuno muoia e qualcuno si salvi. Certamente conosciamo alcuni fattori di rischio: il livello più o meno alto di difese immunitarie, la quantità di batteri con cui si è venuti a contatto, il numero di globuli bianchi presenti nel sangue. Chi non ha più la milza, ad esempio, è maggiormente in pericolo, a parità di età ed esposizione».
Da che cosa dipende la possibilità di essere salvati?
«Dalla rapidità della diagnosi e dell’intervento. Il tempo è tutto. Ricordo, quando lavoravo all’ospedale di Verona, una ragazza tedesca di 17 anni: alle 16 giocava serenamente con le amiche in riva a un lago, alle 19 arrivò in ospedale in coma, la mattina dopo era sveglia, completamente ripresa: l’abbiamo dimessa dopo pochi giorni. La sua salvezza è stata un soccorso tempestivo. La meningite meningococcica ha un’evoluzione tanto rapida quanto rapida può essere la ripresa, se si agisce immediatamente».
Quali sono i segnali d’allarme?
«L’esordio è sempre la febbre, una febbre che aumenta velocemente e raggiunge temperature molto alte. Il primo vero allarme è quando compare la confusione mentale. Poi spuntano chiazze sulla pelle. La situazione comincia a precipitare quando crolla la pressione; si va verso lo choc. Il problema, quando si tratta di bambini, è che più sono piccoli più è difficile interpretare i loro segnali, quindi i sintomi premonitori».
Professore, la domanda che tutti i genitori oggi si faranno è: meglio vaccinare i figli?
«Per ora esiste un vaccino soltanto per le forme ”a” e ”c”, non per la ”b”». Che cosa consiglia?
«Il vaccino contro la meningite non garantisce la stessa protezione di quello, ad esempio, del morbillo. Tutti i vaccini antibatterici danno minore protezione, e per una durata minore di tempo. Per questo motivo non sono mai stati introdotti come ”vaccinazione di massa”. Anche contro la meningite da pneumococco esiste un vaccino, ma per entrambi il consiglio degli specialisti è destinarli a persone a rischio: chi è venuto a contatto con malati a scuola, in ufficio, o in una comunità come può essere una caserma o un centro sociale. In altre parole: dove non ci sono, o non ci sono state, grandi e piccole epidemie di solito non si raccomanda alcun vaccino. In questo momento, ad esempio, se sapessi che la povera Olivia è rimasta in attesa al pronto soccorso, consiglierei il vaccino a tutti i bambini che erano presenti con lei nella stessa sala d’aspetto».