Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 05/07/2010, 5 luglio 2010
MONTANELLI E SPADOLINI FRA AMICIZIA E ROTTURA
Ho appena finito di leggere «I conti con me stesso», opera in cui sono raccolti i diari che Montanelli tenne nel periodo 1957-78. Mi è sorta una curiosità che non sono riuscito a soddisfare. Nel periodo dal 1968 al 1972 Montanelli scrive a proposito della cacciata di Spadolini dalla direzione del Corriere, dell’investitura di Ottone, e del suo suggerimento a La Malfa circa la candidatura di Spadolini nelle file del Pri. Sebbene non traspaia dal testo una particolare simpatia di Montanelli per Spadolini, non vi sono tuttavia neanche elementi che presagiscano la rottura del loro rapporto di amicizia o, più in generale, delle «forme convenzionali» di tale rapporto. Invece nei diari del 1977-78 si legge come Montanelli abbia suggellato il totale distacco da Spadolini inviandogli una lettera e dopo pochi giorni, costretto in ospedale dopo l’attentato subito, abbia accettato la visita del senatore Pri solo dopo essere stato supplicato da Afeltra e a patto che Spadolini «non tirasse fuori le vecchie questioni». Può spiegare i motivi che portarono alla rottura tra queste due grandi personalità?
Federico Casadio
federico.casadio@gmail.com
Caro Casadio, lei si riferisce a un passaggio dei diari, datato 25 maggio 1977, in cui Montanelli scrive di avere inviato a Spadolini «una lettera che mette fine non dico all’amicizia tra noi – già sotterrata da tempo’ ma anche alle forme convenzionali dell’amicizia». E aggiunge: «Non resisto alla tentazione di ricordargli tutto quello che mi deve. Ma non mi faccio illusioni: non susciterò in lui nessun rimorso, ma solo paura dell’ostilità del Giornale nel suo collegio elettorale». La chiave della rottura è in un passaggio del giorno successivo in cui Montanelli annota: «Sterpa, che ignora la mia lettera a Spadolini, pubblica in cronaca una intervista con lui, dandogli il destro di difendersi con una certa abilità».
Il tema dell’intervista, trasmessa da un canale televisivo, è il rapporto della Democrazia cristiana con i comunisti. Il governo era presieduto allora da Giulio Andreotti ed era stato costituito nel luglio dell’anno precedente con l’astensione del Pci. Fu quindi il primo di quelli che vennero definiti governi di «solidarietà nazionale» e fu subito considerato da Montanelli e dal suo Giornale, fondato nel giugno 1974, la prefigurazione del compromesso storico. Nell’intervista Egidio Sterpa, il giornalista e senatore scomparso negli scorsi giorni, chiese perché Spadolini, dopo avere bollato la collaborazione fra la Dc e il Pci con la definizione spregiativa di «Repubblica conciliare», fosse ora, insieme a Ugo La Malfa, favorevole a un rapporto di collaborazione tra cattolici e comunisti. Spadolini si difese sostenendo che il quadro politico, dopo le elezioni del 20 giugno 1976, si era «dissolto» e che non esisteva più nessuna alleanza «né di centro né di sinistra». Per uscire con un programma di austerità dalla grave crisi economica in cui il Paese si stava dibattendo occorreva evitare il boicottaggio sindacale. E la collaborazione dei sindacati, secondo Spadolini, richiedeva un accordo con il Pci. Ma sostenne di essere sempre contrario al «compromesso storico» e di considerare impossibile l’ingresso dei comunisti al governo. Montanelli, dal canto suo, continuò a considerare i governi di solidarietà nazionale pericolosi per il Paese e le sue istituzioni.
La rottura, tuttavia, non fu definitiva, anche perché il giudizio di Montanelli su Spadolini, a giudicare dai diari, è sempre stato colorato di ironia e dal sentimento della propria superiorità. Quando Gian Galeazzo Biazzi Vergani, presidente della Società europea di edizioni, editrice del Giornale, gli disse un giorno: «Ma in fondo siete compaesani», Montanelli replicò prontamente: «No, io sono toscano, lui è nato in Toscana».
Sergio Romano