Guido Olimpio, Corriere della Sera 05/07/2010, 5 luglio 2010
MESSICO, STRAGE TRA NARCOS NEL DESERTO AL CONFINE USA
Lui si fa chiamare El Gilo ed è un piccolo boss messicano al confine con l’Arizona. Con una gang di «300 sicari» regna su un corridoio attraverso il quale passano clandestini e droga: è la rotta Altar-Tubutama-Sáric-Nogales. Un paio di strade che si infilano tra colline del deserto di Sonora. Il segnale dei cellulari è debole e persino le radio ricetrasmittenti hanno problemi. Da queste parti chi non si fa gli affari propri muore. E anche la polizia guarda dall’altra parte. Soprattutto se tira aria di regolamento di conti.
Ed è quello che è accaduto all’alba del primo luglio. Un convoglio di cinquanta veicoli si è avvicinato alla zona tenuta da El Gilo. Grosse jeep e camioncini marcati con le x sui vetri e stracci di stoffa rossa per evitare il fuoco amico. A bordo i narcos guidati da Felix «Ice cream», Nini Beltran e Raul Sabori. Per alcuni sono legati al cartello di Sinaloa, il clan più potente e in guerra con El Gilo, per il controllo di questa regione. Alcune testimonianze ribaltano gli schieramenti: le x sarebbero un segno per indicare l’appartenenza ai Los Zetas, ex soldati passati con i criminali. Altri ancora sostengono che lo scontro è reso ancora più spietato da una faida personale. Sabori avrebbe freddato il fratello di El Gilo nella piazza di Atil. Atmosfere e paesaggi che ricordano film come «El Mariachi» e «Il mucchio selvaggio». Non sai di chi fidarti. Prima spari, poi cerca di capire il perché. E il cadavere deve subire l’oltraggio della mutilazione.
Gli uomini di El Gilo, nonostante fossero circondati da giorni e a corto di rifornimenti, si sono preparati a dovere giocando d’astuzia. Il bandito ha disposto delle vedette e creato dei punti di fuoco. Quando il corteo di veicoli è arrivato nei pressi del rancho «La pasion» ha incontrato la sua passione di sangue. Dai lati della strada i cecchini di El Gilo hanno sparato con Kalashnikov e fucili americani cogliendo di sorpresa gli invasori. Una pioggia di piombo. Quasi mille proiettili. E i sicari sono caduti come mosche. Il numero esatto è sconosciuto. Gli abitanti della zona parlano di 29 ammazzati e 40 feriti, più contenuto il bilancio ufficiale, «solo» 21 vittime. Quando, dopo molte ore, è arrivata la prima pattuglia della polizia ha trovato i veicoli con i ricami disegnati dai colpi dei mitra. Alcuni mezzi erano distanti diversi chilometri, forse l’indizio di un tentativo di sottrarsi alla trappola. E’ anche possibile che una parte degli uccisi sia stato portata via dei complici per evitarne l’identificazione.
Davanti all’ultimo massacro le autorità hanno reagito con imbarazzo. E non potrebbe essere diversamente, visto che in teoria le forze di sicurezza erano in allerta per proteggere le elezioni amministrative. Ieri la popolazione è andata al voto in 14 Stati in un clima di minacce che potrebbe penalizzare il partito al potere del presidente Felipe Calderón. L’uomo politico ha fatto della lotta ai narcos la sua bandiera ma non è riuscito a spezzare le troppe complicità.
Fonti della frontiera sostengono che la polizia e i soldati sapessero della tempesta di fuoco. E sembra che El Gilo avesse chiesto anche aiuto. Una settimana fa, poi, il responsabile della sicurezza pubblica di Tubutama, Gerardo Mendez, e il tesoriere del comune, Sergio Diaz, erano stati assassinati mentre cercavano di raggiungere le colline. Nel retro del loro Suv un paio di bidoni di benzina. Il loro omicidio è collegato alla strage? Qualcuno lo ipotizza.
Il 2 luglio la stampa ha riportato informazioni sull’arresto di diversi criminali’ compresi tre minori’ e il ritorno dell’ordine ma ieri abitanti della regione hanno raccontato una storia diversa: i militari sono spariti dalle strade. Voci incontrollabili come quelle che segnalano gruppi armati in movimento verso Saric. Probabilmente rinforzi dei narcos per dare una mano ai complici.
In Messico sangue chiama sangue. Qualcuno vorrà farla pagare cara a El Gilo. La sua sconfitta permetterebbe ai nemici di impadronirsi di una serie di fattorie che, liberate dagli abitanti, sono state trasformate in punti di appoggio per i polleros, i trafficanti di uomini che portano gli immigrati in Arizona. Odio e affari illegali per il prossimo duello al sole nel deserto di Sonora.
Guido Olimpio