ROSARIO ROMEO, ཿCAVOUR E IL SUO TEMPO, VOLUME II TOMO I, LATERZA, BARI 1977, 5 luglio 2010
ARGOMENTI DI: ROSARIO ROMEO, ”CAVOUR E IL SUO TEMPO”, VOLUME II TOMO I, LATERZA, BARI 1977
CAPITOLO II
AGRICOLTURA E AFFARI
Autunno 1843. Incontro con Corio (Crescentino, 31 novembre 1796-Livorno Vercellese 22 marzo 1870. S’era sposato il 17 gennaio 1815). Affittuario tenuta di 800 giornate (300 ha) a San Genuario (Crescentino). Articolo in cui difende agricoltura vercellese dai rilievi del Fagnani (vedi anche mio libro). [118-119]
Novembre 1843. Corio visita Leri, Cavour è molto insoddisfatto [119]. Corio consiglia riso della Carolina accanto al nostrano e al Bertone e modifica l’aratro Sambuy (c’era anche l’aratro Dombasle). Problema delle abitudini «contractées dès l’enfance». [119]
Fine 1845. Corio prende soldi in prestito dal conte per affittare una nuova tenuta a Livorno Vercellese dei Sella biellesi.
Ottobre 1846. Compenso annuo di 2000 lire per una visita una volta a settimana. Nuovi fabbricati in Leri [120]
Sistemazione definitiva con Corio nel novembre 1849 [120]. Poi diventa di fatto l’amministratore dei tre tenimenti e associato all’azienda in cui Gustavo si limita a incassare il suo terzo di utili [121-122]. Però «l’iniziativa, lo spirito di innovazione, la direzione tecnica, il controllo anche di dettaglio restassero saldamente nelle mani del Cavour, spesso presente di persona a Leri, e sempre informato minutamente, a ritmo pressoché quotidiano da lunghe e continue relazioni, non solo del Corio ma anche degli agenti delle tre tenute su tutti gli aspetti della vita dell’azienda: dal progredire delle singole operazioni agrarie nei vari appezzamenti alle condizioni del bestiame, agli acquisiti e vendite di ogni sorta di materiali e di prodotti, alla condotta di tutti i dipendenti e delle loro famiglie nel lavoro e in privato; e ciò anche quando sarà investito da crescenti responsabilità politiche e di governo» [122]
Passione per l’agricoltura. Giugno 1845: «Métier pou métier j’aime mieux préparer de l’azote que de courir les antichambres pour me faire perdonner les généreuses exagérations de ma jeunesse». La «vie des champs» «est conforme a ma raison pratique. Depuis que j’ai lu Boussingault, du reste, l’agriculture a pour moi tout l’attrait d’une science». I resoconti del Corio «lungi dal trovarli troppo lunghi» gli parevano «soverchiamente brevi», «le sue lettere sono lette sempre con maggiore avidità». [123]
Tutte le lettere di questo paragrafo sono spedite a Corio. «L’agricoltura era per lui solo un’altra congeniale palestra per l’esercizio della propria volontà di azione e della propria capacità di realizzatore. Mandava a Corio libri d’agricoltura ”onde possa trattenersi la sera”, visitava i beni dei vicini e s’impegnava con loro in amichevoli dispute agrarie e raffronti nei quali la sua ambizione di primeggiare risusciva persino a colorirsi di un pizzico di suscettibilità di stampo campagnolo (a Corio, 5 giugno 1847: ”faccia mondare i risi per carità. Onde non essere burlati dai grandi agronomi che ci circondano”), che non gli vietava del resto di apprezzare l’utile funzione della loro ”censura” ”che ci impedirà di avere troppo buona opinione di noi” (a Corio, 11 luglio 1847). Aveva imparato che ”l’agricoltore è destinato a vivere di contrarietà. Se non è dotato di eccessiva pazienza creperebbe di disgusti” (5 giugno 1847); ma era anche convinto che ”dopo tanti sacrifici, tante spese, Leri ha da essere il modello e non il ludibrio dei nostri vicini” (aprile 1849); e risoluto a ”fare di queste tenute un podere modello” (maggio 1846). Sperava nel Corio soprattutto perché questi vegliasse alla precisa esecuzione dei suoi ordini, spesso ”così contrarii alle antiche pratiche vercellesi” (22 ottobre 1846); benché anche il socio, ”quantunque amicissimo del progresso”, gli paresse talvolta ”soverchiamente tenero delle pratiche alle quali è avvezzo” (novembre 1848). [124]
Difesa delle rotazioni tradizionali. Ripartizione colture (presuntiva, dati di anni diversi): 1402 giornate a riso nel 1845. Inventario del 1849: grano 435 giornate, prati 406,50. Nel 1850 terreni a granturco 125 giornate a Leri 86 al Torrone. Nelle carte di Cavour appunti su torba e urina, guano nitrato e solfato di sodio, panelli oleosi, ceneri, malattie del grano, sostanze azotate, amido, analisi del riso e dei lupini, analisi della paglia, misure agrarie novaresi, parti grasse contenute in varie sostanze, da Boussingault, allevamento dei vitellini, sale nell’alimentazione animale, riso nei terreni salini, ceneri e paglia d’avena, composizione delle corna di bue, stracci di lana calce gesso e terra, ingrasso del bestiame, ceneri di riso, traduzione del Liebig. Pretende da William De La Rive, in quel momento a Londra, che il laboratorio Johnston di Edimburgo analizzi la terra di Santena per risolvere il problema dell’esaurimento dei terreni ad asparagi [125 e nota].
«Smania del fabbricare» [126]
Aumento del bestiame, con preferenza delle razze piemontesi, svizzere e valdostane. 231 bovini registrati a Leri e Montarucco nel 1835, si passa nel 1849 a 276, oltre 61 di recente acquisto. Col Torrone il bestiame bovino ammonta a 426 capi, più 24 muli e cavalli valore di 73.458, più che doppio rispetto al ”35. Incremento del bestiame, problema foraggi che deve comprar fuori «con sua grande disperazione» (ogni anno doveva essere quello buono «in Piemonte… si burlerebbero di me se sapessero che dopo di aver speso 40.000 lire in ingrassi compro ancora fieno» (dicembre 1847), poi alla fine del 1849: «ci renderessimo eziandio il zimbello dei Vercellesi se fossimo costretti a comprare fieno questa primavera» [126-127]
«Trasformazione in prodotto vendibile di materie prime acquistate fuori dell’azienda». Sperimenta come concimi, fin dal 1836, ossa panelli terrò calce gesso rifiuti sangue dai mattatoi, cenci di lana. Guano in Inghilterra dal 1835 (vedi mio libro) [127 e seguenti]. Guano (100-150 tonnellate l’anno) determina «produzione immensa», «nessuno può starci a paragone» (Corio 6 giugno 1850), Cavour: «lo spettacolo di tutte le nostre bestie di Leri e Montarucco nel bel trifoglio del Valsentino doveva essere consolante a vedere» (25 aprile 1850). [129-130]
Macchine agrarie [130 e seguenti]. Trebbiatoio del Morelli nel 1824 tentato da Michele. Trebbiatoio Colli (derivante dal trebbiatoio Moroso, Rocco Colli lomellino di Novara, ingegnere operazione fatta nel 1836) introdotto da Carlo Magnaghi affittuario di Castelmerlino «uno degli agricoltori con cui Cavour aveva scambi più frequenti di idee e di esperienze». [130] Cavour vide che col nuovo trebbiatoio a Castelmerlino avevano battuto 4.000 quintali di risone nel 1843 e 6000 l’anno dopo (1844).
«Entrato in relazione col Colli verso la fine del 1843, gli commissionò per la tenuta di Leri un trebbiatoio di cui fece costruire le parti metalliche da officine di Torino e della Val d’Aosta, e il resto da operai di Leri, interessandosi personalmente della buona esecuzione del lavoro […] Nell’agosto 1844 la macchina, munita di un cacciapaglia integrativo, venne inaugurata, con risultati che il conte trovò pienamente soddisfacenti». Elogio del Colli, speranza che mettesse la sua bravura al servizio del progresso in Piemonte della ”meccanica industriale, ramo tanto negletto da noi”». Nuovi trebbiatoi a Montarucco (1845) e Torrone (1847) arricchito da un ventilatore [131]. Più tardi trebbiatoi da grano (estate 1846) e nel 1854 il problema del trebbiatoio da grano fu posto allo stesso Giovanni Ansaldo [132]
Rapporti del Conte con i dipendenti vedi scheda di Romeo Vita di Cavour [133] Il parroco di Leri Gian Carlo Borghese racconta il proprio licenziamento da Leri in una lettera al ministro Sineo, 30 gennaio 1849: «trovai non un uomo, ma un sultano. ”Signor Teologo, mi disse, i Preti di Torino sono democratici, rovinanrono la mia elezione a deputato del primo circondario, conosco abbastanza la sua persona, i suoi sentimenti per intimarli che la licenzio dalla Cappellania e da questo sull’istante che gli impongo di lasciare senza darle tempo veruno a cercarsi pane” (sul del che io aveva insistito)» [133-134]
Personale in forza a Leri nel 1850: segretari Vincenzo Corio (fratello) e Martino Tosco, 3 agenti e 3 sottoagenti, 9 prataioli, 6 capi boari, 6 sotto capo boari, 40 boari, 7 cavallanti, 9 margari o bergamini, 8 manzolai, un fabbro, 3 falegnami, una cuoca, uno stalliere, un sagrestano, una guardia [135]. Cresciuti di numero e di reddito. Con stipendi di ognuno [135].
Tutti i salariati indebitati con l’azienda per le anticipazioni di riso, pistino, granturco, pula con liquidazione e saldo all’11 novembre, quando era già segnato il debito successivo [136]
Avventizi sempre di più [137] «con maggiore penetrazione dell’economia monetaria nelle campagne». Contributo a questo dei trebbiatoi con sparizione della manodopera specializzata [138]
Risultati produzione in [139 e seguenti]
«A integrare l’ammodernamento della produzione agricola Cavour intraprese in quegli anni tutta una serie di iniziative tendenti a creare, a fianco dell’agricoltura, tutto un complesso di attività industriali destinate ad arricchire le potenzialità produttive del suolo, e a sostituire le arcaiche lavorazioni basate sullo sforzo fisico dell’uomo o degli animali con lo sfruttamento razionale dell’energia meccanica, ad agevolare la commercializzazione e il collocamento del prodotto» [143]
• Guano artificiale. Industria chimica piemontese nel 1843 valeva 300 mila lire (fabbriche di acido solforico, candele, zolfanelli fosforici e fosforo tratto da ossa). Rossi-Schiaparelli vedi mio libro [143- La lettera stupefatta di De La Rüe [144] dovuta all’iniziativa chimica è del 25 marzo 1847. Acquisto fabbrica del Rossi che andava bene per la produzione chimica di base (acido solforico, fosforo, solfati di ferro, rame e magnesio, carbonato di soda). Problemi anche in Inghilterra col concime artificiale Murray, che si afferma solo a fine decennio [145]. Scarso successo anyway. La chimica liquidata il 24 dicembre 1856 [147] però il subentro con successo della Ecarrissage divenuta poi la Colla e concimi nel 1920 assorbita dalla Montecatini «colloca dunque Cavour tra i pionieri della industria chimica italiana» [150].
• Trasformazione dal risone al riso [150 e seguenti] con società per il brillatoio nel Regio Parco di Torino (fine 1846) [150 e seguenti] fatto con i Fourrat di Bordeaux che nell’aprile 1850 gli propongono «di entrare in una nuova società per azioni ”pour l’établissement d’un moulin à l’americain”». La ”Società anonima dei molini anglo-americani di Collegno”, gestisce i molini a farina di Collegno e anche i risi di Leri, costituita il 13 maggio 1850 (Fourrat 140 mila lire, Cavour 90 mila, Albertin 50 mila), poi divenuto maggiore azionista dopo l’aumento di capitale a un milione del 1856, trasferimento sede a Torino, linea ferroviaria Collegno/Torino-Susa, sciolta nel 1870, posizione preminente nell’industria molitoria del Paese. [156]
• «Grande produttore agricolo, Cavour spiegava una larga attività per il migliore collocamento della sua crescente produzione sul mercato. Le sue estese relazioni d’affari a Torino, a Chivasso – mercato agricolo importante, dove i Cavour disponevano di un proprio magazzino -, e soprattutto a Genova, grazie anche alle strette relazioni con gli amici banchieri De La Rüe (specialmente con Emilio), che gli consentivano di operare su una scala assai più ampia che non gli altri agricoltori vercellesi e di cogliere opportunità redditizie che ad essi restavano precluse; così che alcuni di costoro, come ad esempio il Corio o il vicino Carlo Magnaghi, si affidavano a lui per un più favorevole smercio dei propri prodotti» [156]
Speculazioni sul grano. Anno 1847, raccolto pessimo in tutta Europa, crisi di sussistenza, prezzi a livelli inconsueti, Cavour vende il granturco a 4,45-5,00 per emina (prezzo medio a Torino 4,35) utili superiori al 30% sul prezzo d’acquisto, vendite di riso a 6,80 per emina e fino a 7,17, dispetto per non essere riuscito a raggiungere le 55 lire a quintale (media a Torino 34,30). [157-158] «Riferite a quantitativi di decine di migliaia di emine, questi margini si traducevano in guadagni davvero ingenti». Dopo il 1850 fa vendere tutto ai Fourrat [158]
Speculazione sul guano [159], prima comprato in Inghilterra, poi a Genova attraverso ditte commerciali liguri, «tra le quali in questo ramo venne presto ad occupare una posizione di particolare rilievo quella di Carlo Filippo (Sebastiano) Balduino, a cui nel 1853 succederà il figlio Domenico, destinato, quale dirigente del Credito mobiliare italiano, a diventare uno dei massimi esponenti del mondo finanziario e bancario dell’Italia unita». «Rinunciando agli acquisti oltre mare il conte mirava ad accentrare nelle proprie mani la rivendita in piccole partite all’interno, e soprattutto nel Vercellese». Dà interesse per tenerle buone a ditte Baudino e Mazzucchelli. Interrompe speculazioni nel ”48, le riprende al ritorno della pace. Andamento dei prezzi in [160-161].
• Ferrovie. «Il 10 settembre 1840 il gruppo genovese Cavagnati, Pratolongo e soci, che fin dal 1826 aveva avanzato il progetto di una ferrovia da Genova a Torino, e alla cui testa stava ora il duca di Galliera, cioè uno dei massimi esponenti della finanza internazionale del tempo, venne autorizzato ad intraprendere gli studi per una linea che dalla capitale ligure conducesse al di là di Serravalle per poi dirigersi da un lato ad Alessandria e dall’altro al confine lombardo, verso Pavia. Alla fine del 1843 il progetto dovuto al maggiore Ignazio Porro e riveduto dall’ingegnere inglese Isambard K. Brunel, venne presentato al governo, che con le lettere patenti del 18 luglio 1844 fissò definitivamente il tracciato da seguire: da Genova a Novi Ligure e di lì a Pozzo Formigaro, donde la linea doveva dirvidersi nelle due direzioni di Alessandria-Torino e della Lomellina, dalla quale avrebbe poi proseguito verso Novara e il Lago Maggiore,. Alle finalità commerciali del primitivo progetto genovese, che dava un’importanza preminente al collegamento del grande porto ligure con Pavia e Milano, si sovrapponeva dunque un tracciato che obbediva in via principale a considerazioni politico-militari. Esso disegnava un sistema ferroviario autonomo, che mirava in prospettiva a un diretto collegamento con linee ferroviarie svizzere e germaniche, e dava corpo in tal modo alle preoccupazioni che Metternich aveva già avanzato nell’ottobre 1840, per la concorrenza che poteva derivarne ai traffici austriaci in direzione dei porti dell’Adriatico; mentre la linea verso il confine lombardo, che era stata il cardine del progetti iniziale, veniva ora rinviata, e lasciata incerta nel tracciato e nei tempi d’attuazione» [162-163]
La preferenza per l’intervento dello Stato dovuta all’«opportunità ch’essa offriva di un investimento produttivo di 30-40 milioni finora immobilizzati nella cassa di riserva formata, come è noto, mediante il gettito del prestito lanciato nel 1834 e gli avanzi di bilancio degli ultimi esercizi». [163]
Affidare a due diverse compagnie la costruzione della Torino-Alessandria e Genova-Frontiera Lombarda. Cavour ha speranza di entrare in tutt’e due.
Ottimi rapporti col ministro Gallina [164] cofondatore della società del whist
«Costituzione di una compagnia provvisoria con sede a Ginevra e capitale da 30 milioni, suddiviso in tre parti uguali secondo le proposte di Cavour fra un gruppo parigino rappresentato da Gabriel Odier e dal barone Adolphe d’Eichtal, una delle massime potenze finanziarie francesi in materia ferroviaria; un gruppo ginevrino con le banche Naville, Turrettini e Pictet, Hetsch e Lombard-Odier; e un gruppo piemontese capeggiato dai De La Rüe e dal banchiere torinese Mestrezat» [165]
Dimissioni Gallina da ministro dell’Interno (motivi di salute) e arrivo di Luigi Des Ambrois de Névache, la bilancia si sposta da privatisti a statalisti [165]. Irritazione di Cavour, gli statalisti si reclutavano soprattutto tra «de profonds stratégiciens qui ne voit dans le chemin de fer qu’un moyen de faire manoeuvrer plus facilement les armées», schiera in cui si trovano riuniti «les ignorants, les courtisans et les tacticiens». Però tra gli statalisti c’era pure Ilarone, che ci scrisse sopra un saggio (a cui Cavour rispose col suo Chemin de fer) [165]
Petitti: evitare le speculazioni ai danni dei piccoli risparmiatori. Lettere patenti del 13 febbraio 1845, costruisce lo Stato [166] Sfruttamento della situazione in [166 e seguenti] su cui vedi mio libro. Binari e cuscinetti prima rifiutati poi accettati con lo sconto del 10 per cento [168-169] «L’intera fornitura, liquidata solo verso la fine di quell’anno 1849 ammontò tuttavia a 12.920 tonnellate di binari, 4.754 di cuscinetti e 317 di caviglie per un valore di lire 4.588.369» tagliato di un decimo. Il guadagno per i tre soci Golzio, De La Rüe e Cavour dovette essere di 50 mila lire a testa circa [169].
Sulla Torino-Savigliano vedi [169-171]. Abbandonata per la crici commerciale, ripresa poi nel 1850. Cavour vende la suq quota ed esce il 24 settembre 1850 [171]. Aperta al traffico il 16 marzo 1853 e il 20 agosto 1855 prolungata fino a Cuneo. Statalizzata il 18 giugno 1859, dopo anni di furore speculativo [172].
• Cavour banchiere [173 e seguenti]
«Al limite tra gli affari e la politica sta la partecipazione di Cavour alla creazione dei primi moderni istituti di credito a Genova e a Torino, destinati di lì a qualche anno a confluire nella Banca Nazionale degli Stati Sardi, che più tardi divenne, com’è noto, la Banca d’Italia. Il graduale incremento dell’attività economica che, come sappiamo, si verifica in questi decenni, aveva determinato la formazione di un ammontare crescente di risparmio che rimaneva inoperoso per mancanza di istituzioni creditizie atte a mobilitarlo al servizio dello sviluppo economico del paese. A formare nuove disponibilità monetarie doveva contribuire una bilancia dei pagamenti che, nonostante il deficit denunciato dai valori ”ufficiali” della bilancia commerciale, era probabilmente attiva. Disponibilità rilevanti di oro monetario provenivano soprattutto dalla Lombardia, la cui bilancia commerciale nei confronti del Piemonte era costantemente sfavorevole, in relazione specialmente, ma non in maniera esclusiva, ai larghi approvvigionamenti che vi giungevano attraverso il porto di Genova. Nonostante la sterilizzazione di una considerevole aliquota dello stock monetario dovuta, scriveva Cavour nel 1844, ”à la manie di gouvernement d’avoir dans ses caisess une réserve énorme de numéraire, réserve qui dans ce moment s’élève à prés de 70.000,00” (a mile De La Rüe, 12 novembre 1844), a fronte di una circolazione metallica complessiva di forse 120-150 milioni, abbondava il risparmio alla ricerca di impieghi: come è dall’ascesa dei corsi dei titoli pubblici, quotati sensibilmente al di sopra della pari, così da suscitare l’iniziativa, da parte di alcune banche, di assicurare le obbligazioni contro il rischio di rimborso alla pari. La larga disponibilità di mezzi da parte delle regie finanze sollecitò anzi una serie di provvedimenti con i quali esse venivano autorizzate a concedere prestiti su deposito di titoli del debito pubblico e cedole della città di Torino o, a partire dal 1837, su depositi di sete effettuati da negozianti, grazie a un fondo di sei milioni istituito a questo scopo. Lo Stato in tal modo procedeva a finanziare direttamente il mercato, mentre veniva anche istituita una Cassa depositi ed anticipazioni, alimentata con i fondi giacenti presso le province e i comuni, e destinata a finanziare le spese degli enti locali. Il grosso del credito commerciale restava tuttavia nelle mani delle banche private, quasi sempre a carattere strettamente familiare e spesso interessate anche in affari di commercio, le quali, accanto ad operazioni su titoli del debito pubblico, praticavano un ristretto credito di esercizio, scontando cambiali, concedendo anticipazioni su deposito di merci, soprattutto seriche, ed effettuando altre operazioni a breve termine. Esse accettavano anche depositi a custodia, emettendo perciò moneta bancaria nella forma di titoli negoziabili a scadenza: ma appunto tale caratteristica differenziava la circolazione originata da queste banche dai biglietti al portatore emessi da un moderno istituto di emissione, convertibili a vista senza aggravio di sconto e formalità di girate; e l’azione ne risultava dunque assai meno conforme alle cresciute esigenze del commercio e della vita economica in generale» [173-175].
Si moltiplicano le richieste per nuove strutture creditizie, specie a Genova. Proposta De La Rüe del 1836 (banca a cui parteciperebbero con 600 mila franchi) appoggiata da Cavour e respinta dal governo convinto che si trattasse per la maggior parte di capitalisti stranieri invisi al governo. Paternalismo del regime assoluto. Banca di Genova, proposta per iniziativa del duca di Galliera (vedi ferrovie) alla fine del 1843 e approvata poi con regie patenti del 16 marzo 1844. I De La Rüe e i Ricci – amici di Cavour – sono fuori per contrasti sorti all’inizio con gli altri genovesi [175-176].
Cavour progetta la banca a Torino. Movimento seterie 70-80 milioni l’anno («metà per acquisti di bozzoli e metà per vendita di sete gregge ai filatori») effettuato con contratti a termine eccetera è possibile una banca di sconto. Prevede già fusione con Banca di Genova per far nascere la Banca Nazionale (poi Banca d’Italia). Ostilità di altri banchieri (Barbaroux) per timore concorrenza. Poi Cavour mette insieme 30 banche e Barbaroux si aggrega. Si arena perché banche torinesi, temendo prevalenza dei seticultori, chiedono che il numerro di soci sia ridotto a dieci, inoltre le azioni della Banca di Genova ribassano proprio in quel momento [177-178].
19 maggio 1845: Banca di Genova apre gli sportelli. Carlo Bombrini. Tratta solo grandi clienti (ha anche un’apertura di credito dallo Stato), escludendo i piccoli commercianti. Cavour critica sul Risorgimento: «Un banco deve bensì vegliare agli interessi dei suoi azionisti, ma deve pure pensare al vantaggio del commercio» (28 gennaio 1848). Andamenti in [179].
Dicembre 1846. Si riparla di banca di emissione torinese. Ristretto numero di soci, Ricci, De La Rüe, Bolmida, Mestrezat, dubbi governo (c’è spazio dopo Genova?), allarga a Salmour quale rappresentante dell’”élément proprietaire”, e alle banche torinesi. Banche torinesi, cercando di far fallire l’iniziativa, sottoscrivono appena il 50% della parte loro destinata e il resto lo deve collocare Cavour che però è sommerso di richieste: «hier toute la bourse voulait des actions» (a Emile De La Rüe 2 aprile 1847). E cosi entrano le grandi case bancarie torinesi: Barbaroux, Nigra, Vicino, Casana, Long e Defernex con Cavour Dabolmida Salmour e Mestrezat fra i dieci promotori. Il governo impone limite al capitale dei dieci a 1.400.000 per evitare aggiotaggi. Approvazione il 16 ottobre 1847. «Delle dieci quote spettanti ai fondatori Cavour era riuscito ad assicurarsene 2 ¾, equivalenti a 389 azioni, per un valore nominale di 389 mila lire, in parte per conto proprio in parte per i propri corrispondenti De La Rüe, Ricci e Rignon». Allarme a Genova: Bombrini va a Torino per proporre lo sconto a Genova degli effetti di Torino senza controfirma di un residente ovvero istituiamo una succursale nella capitale subalpina. [180-181]
Governo (Thaon de Revel): prima proposta è insufficiente, la seconda è un espediente dettato «dal proposito d’impedire la istituzione della Banca di Torino» (30 giugno 1847). Disavventure della Banca di Genova. Cavour nel Consiglio di Reggenza della Banca di Torino (nominato il 20 gennaio 1848): «ma nel quadro della gravissima crisi finanziaria provocata in tutta Europa dallo scoppio del movimento rivoluzionario, e anzitutto dalla instaurazione della repubblica in Francia, i mesi trascorsero senza nuove iniziative. Fu solo quando il governo decise, con i decreti del 7 settembre 1848, di imporre alla Banca di Genova un prestito di 20 milioni al Tesoro, e di introdurre al tempo stesso il corso forzoso dei suoi biglietti, che il problema della fusione, vagamente ripreso già qualche mese prima, prese un carattere ben definito, essendo risoluti i dirigenti della banca torinese a non iniziarne l’attività se non avessero ottenuto per i propri biglietti il medesimo privilegio, a meno di una fusione tra i due istituti». La fusione provocò un rialzo su cui Cavour guadagnò bene. Delle 389 azioni, 115 vennero cedute a Ricci e Rignon, 274 restarono a lui e De La Rüe. 168 vendute con poremio del 10-10,5 e con vantaggio le altre 80. Guadagno di 30.675 [182-183].
«Forza vitale di eccezionale potenza, costretta ad applicarsi a oggetti tanto minori di lei, e indotta perciò a imprimer loro un ritmo che infrangeva tutte le consuetudini di un ambiente» [183]
Fiducia degli investitori in [184-185]. Auguste De La Rive: «Dieu sait si vous ne saurez pas encore vous tirer d’affaire. Ah, quel homme abile! Vous mériteriez d’être premier Ministre du Roi d’Italie; je ne désespère pas de le voir un jour et de m’en féliciter avec tous le habiles» (4 marzo 1846). [185]
«Insomma Cavour possedette in altissimo grado quella capacità imprenditoriale di cui è stato giustamente detto che, come l’arte, è una delle ricchezze immateriali più importanti di un paese. Nel mondo degli affari torinese l’autorità personale ch’egli aveva acquistata rendeva praticamente indispensabile la sua partecipazione a ogni impresa importante, così da farlo spesso figurare, a titolo personale, a fianco delle maggiori case bancarie, alle quali riuscì talora, come nell’affare della Banca di Torino, a imporre linee di condotta alle quali erano state a lungo recalcitranti» [185].
«Cavour era proprietario di un ingente patrimonio, ma a carattere quasi esclusivamente immobiliare, e per gran parte sottoposto a vincoli di comproprietà che lo rendevano indisponibile per avventure finanziarie» [186].
Diffidenza di Cavour per il gioco in Borsa, mediocrità di Torino i cui investitori non sono abituati ai rialzi e ai ribassi dei titoli in [186] nota 335.
Michele, vecchia maniera, diffidente (specula solo su titoli di stato). 15 novembre 1842 a Isacco-Samuele Avigdor: «Nous vivons fort tranquillement ici, ne nous laissons point trop entraîner pasr les entreprises industrielles, et surtout celles de routes en fer qui sillonnent la France, la Prussie e l’Allemagne, et qui au premier coup de canon serviront à faire des essieux et des boulets» [186].
«Da questa esperienza, che occupò in modo quasi esclusivo un quindicennio della sua breve vita, e dunque una metà della sua esistenza di adulto, Cavour trasse quel sicuro dominio dei più minuti dettagli della vita economica e finanziaria che sarà anche una delle sue armi come uomo politico. Ne derivò anche un rafforzamento di quella visione scettica e disincantata della realtà che in parte gli era già propria, e che ha fatto parlare, non del tutto esattamente, di un suo fondamentale cinismo; insieme con un esercizio incomparabile nell’arte di trattare e valutare gli uomini, di affrontare situazioni e ostacoli imprevisti e imprevedibili, di escogitare linee di condotta ed espedienti atti a mantenere il controllo di avvenimenti in continua evoluzione. Ne venne anche confermato, con i ripetuti successi, in quella fiducia in se stesso che nasceva da tutta la forza della sua personalità, e che ne faceva fin da ora un capo, comunciandosi, come abbiamo visto, non di rado agli altri: fra i quali non mancavano coloro che già erano convinti della sua attitudine a diventare primo ministro di un’Italia unita e che gli manifestavano la propria fiducia» [187].
Cavour «godeva sinceramente dei successi altrui, e se taluno pesava severamente la moralità di certi buoni affari, di certe speculazioni bancarie o industriali, non ne faceva troppo carico ai gaudenti, dicendo che i c… non avevano ragione ndi prendersela che con loro stessi» (Castelli, Ricordi) [187].
Convinzione che «le nuove conquiste dell’economia e della produzione erano conquiste di tutta la civiltà» [188]. Non lo spinge solo l’interesse, ma anche l’amor proprio, il desiderio di dare il suo nome a una bella impresa (banca di Torino), la voglia di «m’occuper d’une matière utile à mon pays et en meme tems avantageuse pour moi», col guano desidera che i «fort beaux bénéfices» siano condivisi da tutti gli altri. [187]
Nonostante le concessioni di Carlo Alberto al liberoscambismo, scontri fra iniziativa imprenditoriale di Cavour e struttura economico-amministrativa del Paese. [189]
«Diffidenza governativa verso la finanza privata […] una burocrazia lenta, chiusa e misoneista, i cui pregiudizi erano pienamente condivisi dal sempre detestato Carlo Alberto». Spesso rinuncia ad iniziative in cui ci vuole l’assenso del governo. Però mai rivoluzionario. «La situazione che si è descritta significa certamente che nei settori più avanzati del mondo imprenditoriale torinese v’erano motivi assai concreti per guardare con favore a una modifica degli ordinamenti esistenti che appagasse l’aspirazione ad avere una più efficace ”azione su chi governa”; e Cavour, con le sue estese relazioni e il posto che occupava in quel mondo, era naturalmente chiamato ad esserne l’interprete più autorevole sul terreno politico, non appena fossero cadute le barriere che finora gliene avevano vietato l’accesso» [191].