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 2010  luglio 04 Domenica calendario

IL GENE SPAZZATURA NON DA BUTTARE

Da quando sono stati scoperti circa 30 anni fa, gli pseudogeni vengono considerati per lo più come una curiosità; e spesso si sono rivelati dal punto di vista tecnico piuttosto fastidiosi, in quanto elementi di disturbo nel corso di ricerche sulla struttura e sulla funzione di geni veri. Ma che cosa è uno pseudogene?
Essenzialmente una copia di un gene, ma con qualche piccolo difetto, bastante per impedirgli di svolgere il compito che per la maggior parte dei geni è il più importante, cioè di produrre una proteina con una funzione specifica; sia essa un enzima, o un fattore necessario per la crescita di un certo tipo di cellule, o una proteina che rende il muscolo capace di contrarsi, come la miosina.
Molti pseudogeni appaiono perciò un po’ come copie di un documento originale antico fatte nel Medio Evo da un amanuense non tanto accurato; e si è pensato che siano riusciti a inserirsi nel genoma in modo simile a quanto è avvenuto, nel corso dell’evoluzione, anche per molti geni veri, dopo un processo di duplicazione. Una volta classificati come vestigi dell’evoluzione, gli pseudogeni sono entrati a far parte di quello che, più o meno consapevolmente, consideriamo "junk Dna": il che, si badi bene, non significa Dna spazzatura, ma piuttosto Dna che si accumula (come avviene per tanti oggetti in soffitta): non è poi detto che non serva mai più a niente.
In realtà, che gli pseudogeni qualche funzione dovessero averla si sospettava da tempo, perché molti di essi non sono silenti: anzi, molte cellule li trascrivono attivamente – come fanno per i geni normali – vale a dire che ne fanno nuove copie in forma di Rna. Nel caso dei geni veri questi Rna, chiamati i messaggeri dei geni, vengono poi tradotti in proteine: ma nel caso degli pseudogeni ciò è impossibile, come si è detto, e perciò il significato degli Rna trascritti dai pseudogeni (sono migliaia) è sempre rimasto un enigma.
Un lavoro pubblicato su «Nature» il 24 giugno 2010 dal gruppo di Pier Paolo Pandolfi offre di colpo una soluzione, che al tempo stesso apre un panorama affatto nuovo sulla dinamica della regolazione genica.
Per capirlo occorre tener conto di un’altra classe di Rna (di nuovo varie migliaia), così piccoli che vengono chiamati micro-Rna, e che sono emersi nell’ultimo decennio come potenti regolatori degli Rna messaggeri: e riescono a regolarli attraverso affinità elettive, perché riconoscono con squisita specificità la loro struttura; in termini più esatti, la loro sequenza.
Data la quasi identità di un gene con il suo rispettivo pseudo-gene, un micro-Rna che riconosce l’Rna messaggero prodotto dal primo riconosce anche l’Rna prodotto dal secondo. Dimostrando questo, Pandolfi ha scoperto un circuito di regolazione finora inesplorato. Un esempio illuminante, documentato nella parte sperimentale del lavoro, è che un microRna, legandosi all’Rna messaggero di un gene vero, ne inibisce la funzione; ma quando si lega all’Rna del rispettivo pseudogene l’inibizione viene rimossa e la funzione del gene vero viene ripristinata. In questo modo lo pseudogene, finora snobbato come junk Dna, collabora utilmente con il gene vero: da pseudogene diventa quasi un vice-gene.
In molti casi il funzionamento del controllo genico è stato paragonato a quello di un interruttore: o è acceso, o è spento. Ma oggi siamo abituati a quei dispositivi più raffinati che permettono di regolare la luce a qualunque livello: per quanto riguarda la regolazione genica, l’evoluzione ha messo a punto da molto tempo dispositivi del genere.
Perché una cellula, un tessuto, un organismo possano funzionare bene è indispensabile che la regolazione sia finemente quantitativa: altrimenti, si può avere una malattia, ad esempio un tumore. Per controllare i tumori il primo requisito è capirne la natura, cioè capire che cosa si è distorto nei meccanismi che regolano la crescita cellulare. Considerando la varietà delle nostre cellule e delle loro funzioni, non è strano che i meccanismi di regolazione siano complessi: e da oggi conosciamo un nuovo strato di questa complessità.
Per fortuna è una tendenza innata della natura umana cercare di dirigere quello che abbiamo capito verso obiettivi concreti. Un po’ come per rimettere in ordine un circuito elettronico malfunzionante occorre conoscerne ogni componente, così per il circuito costituito da Rna di pseudogeni, micro Rna, Rna trascritti dai geni veri: purché siamo in grado di diagnosticare in qual modo il circuito è fuori registro, potremo trovare molti punti di accesso che si prestino a interventi terapeutici nei tumori, e anche in altre malattie.
Il lavoro di Pandolfi è stato condotto ad Harvard, ma dei sei autori tre sono italiani (il primo nome a pari merito è Laura Poliseno, che proviene dall’Istituto Toscano Tumori). Non andiamo troppo bene nel calcio mondiale, ma nella genetica molecolare sembra che andiamo sempre meglio, almeno ad Harvard.