Domenico Montalto, Avvenire 3/7/2010, 3 luglio 2010
NELL’ARTE CHE FA AUDIENCE ORA VINCE L’AVANGUARDIA
L’ interesse per l’arte non è più un privilegio di pochi. Visitare musei, fiere e gallerie, informarsi, acquistare, collezionare non è più appannaggio di un ristretto network di consumatori scic, di una fortunata élite di persone colte. Nell’Italia di oggi, sono ben 13,5 milioni (il 27% della popolazione) coloro che si dichiarano appassionati all’arte. Tanti? Pochi? Certamente una massa. Di questi, 9,5 milioni considerano un buon investimento economico il comprare quadri, sculture, fotografie ecc. e il 10% ha acquistato almeno un’opera d’arte in questi ultimi due anni. Un milione in meno, rispetto al 2008. Evidentemente la crisi economica c’è e morde. Gli amanti dell’arte in tutte le sue forme erano nel 2008 circa il 35% della popolazione, e sono scesi agli attuali 13,5 milioni; ancora più drastico il calo dei patiti dell’arte contemporanea, dimezzati in due anni, da 9 a 4,5 milioni (dal 18% al 9%). Tuttavia questi numeri, tanto più in un periodo di recessione, restano di tutto rispetto e indicano con chiarezza una realtà collettiva nuova: interessarsi all’arte – anche quella contemporanea, che per molti rimane però oscura e stravagante – non è più un tabù, anzi è divenuto costume sociale.
un’Italia del tutto inedita, anche nei moventi culturali, quella fotografata dall’Ispo di Renato Mannheimer per conto della Terna, grande azienda della distribuzione d’anergia che da anni intraprende progetti di mecenatismo nell’ambito delle arti visive. Per anni è durato lo stereotipo degli italiani come un popolo supinamente assuefatto al bello per il fatto stesso di vivere in un Paese che è un museo a cielo aperto; da anni si dice che l’ignoranza, la superficialità, la sciatteria, l’insulsaggine dilagano. Ma se 14 milioni di persone frequentano musei ed esposizioni, se il 71% degli intervistati (su un campione di mille rappresentativo d’ogni età e ceto) considera importante l’arte e la valorizzazione dei giovani autori, se 16 milioni ritengono che la cultura contemporanea debba essere sostenuta dallo Stato oltre che dai privati, tutto ciò vuol dire che – grazie a Dio – esiste anche un Paese diverso.
Molto diverso da quelli immortalato, non più di una generazione fa, dalla sublime comicità di Alberto Sordi, con la sua celebre gag cinematografica del «fruttarolo» che s’addormenta, russando sonoramente, durante la visita alla Biennale di Venezia. Oggi, l’arte contemporanea – pur con le sue concettuosità – si sta affermando anche nel senso comune, come opzione di riferimento per mercato, comunicazione e imprese. Infatti, sono 5 milioni le persone in Italia che vorrebbero acquistare un’opera; ma non solo, è questo il settore che attrae maggiormente i più giovani e dove potenziale di crescita è più forte. Il futuro però rimane incerto, e molto dipenderà dalla nostra capacità, come si dice, di «fare sistema». Infatti, rispetto ai colleghi internazionali, i direttori dei musei d’arte contemporanea italiani si sentono più isolati e meno apprezzati. Oltre il 90% dei direttori intervistati ritiene insufficiente il livello di collaborazione e interazione tra i Musei di arte contemporanea nel nostro Paese e quelli all’estero.
Unanime è poi il giudizio sulla necessità di creare nuove figure professionali: ovvero i manager dell’arte, esperti capaci di coniugare cultura e mondo economico e di introdurre capacità manageriali che, oltre a valorizzare l’aspetto artistico dell’attività, dovrebbero contribuire a mantenere in attivo i bilanci museali. Per tutti i musei è forte la percezione del proprio ruolo nella società: i direttori si sentono investiti di una sorta di «dovere morale» nei confronti della collettività di riferimento, in termini di educazione culturale, progetti di sviluppo e coinvolgimento del territorio, che, a loro parere rappresenta una risorsa inestimabile. Insomma la strada da fare è ancora parecchia, ma almeno la via maestra appare chiara.