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 2010  luglio 03 Sabato calendario

JACK JOHNSON, IL COLORE SBAGLIATO DEL KO

Nero contro bianco. Un ring. L’America appesa a un pugno. Deve vincere il bianco: si chiama Jim Jeffries. Invece vince l’altro, il nero, che si chiama Jack Johnson. il 4 luglio 1910: lo aspettano cent’anni di solitudine. Neppure adesso che l’America ha un presidente di colore, il cielo di Jack è azzurro. Continuano a tenerlo nel limbo dei sospesi. Non l’ha riabilitato Bush, e ci può anche stare, visto il tipo; non l’ha fatto Obama, e questo è singolare (forse non è il tipo che si pensava). Johnson fu condannato al carcere per aver avuto rapporti con donne bianche, reato intollerabile per l’America del tempo. Costretto a fuggire all’estero per evitare la galera, tornò qualche anno dopo e scontò la pena. Oggi, riletta la storia, ci sarebbero mille ragioni per riparare il torto. Ma il sistema americano è rigido: Jack, pure da morto (nel ’46, per incidente stradale) continua a dare fastidio.
Ordinarie storie di razzismo nell’America del primo boom economico, ma oggi che senso ha? Di sicuro, c’è che Johnson era un tipo difficile. Cioè: un tipo difficile se fosse stato bianco. Da bianco, avrebbero detto che era sfrontato, al limite arrogante. Così, con quella pelle di un nero clamoroso, grande e grosso e con due mani che sembravano badili, Jack passa semplicemente per un delinquente. Vizioso e politicamente scorretto: c’era proprio bisogno che un figlio di schiavi spendesse tutti quei soldi in macchinoni, alcol e donne dalla pelle chiara? Ma Johnson, bene omale, è ciò che si definisce un campione dello sport: purissima razza pugilistica. Anzi, è «il» campione, perché domina tra i pesi massimi, la categoria più seguita nella boxe.
Jack colpisce forte e preciso, è un’attrazione e anche una gallina dalle uova d’oro: i suoi match richiamano un gran numero di spettatori. Finché, il 26 dicembre 1908, diventa un fastidio: in Australia (non negli Usa, perché il Ku Klux Klan ha fatto la voce grossa) affronta per il titolo mondiale Tommy Burns, the little giant of Hanover, il piccolo gigante franco-canadese che da due anni mette a sedere un rivale dopo l’altro. Jack commette un errore madornale: vince ogni singolo secondo di ogni singolo minuto del match e diventa il primo nero a conquistare la corona dei pesi massimi. Il calvario di Burns finisce quando l’arbitro, il sovrintendente di polizia Frank Mitchell, dichiara chiuso il match dopo 14 riprese. Intollerabile: comincia quella stessa sera la ricerca della «grande speranza bianca», dell’uomo che saprà riprendersi il titolo ricacciando Johnson nel girone dei perdenti. Ecco perché la mattina del 4 luglio di cent’anni fa, a Reno, nel Nevada, l’America è contenta. Crede di aver trovato la speranza bianca in Jim Jeffries, buon pugile con un difetto: è inattivo da sei anni. Persino Jack London, insospettabile scrittore di idee socialiste, si è scomodato andandogli dentro casa. «Cancella questa vergogna» implora l’autore di Martin Eden, appena pubblicato.
 il match dei match. Jim entra nella parte(forse troppo), tanto che prima del combattimento detta il suo nobile pensiero: «Sto affrontando questo incontro con il solo proposito di provare che un uomo bianco è meglio di un negro». Il mondiale è in programma a San Francisco, ma i disordini razziali e un nuovo veto del sempre più potente Ku Klux Klan lo fanno spostare a Reno. Prima dell’incontro, un’esplosione di entusiasmo: la banda a bordo ring suona «All coons look alike to me», che tradotto significa «tutti i procioni per me sono uguali», dove per procioni si allude al nomignolo spregiativo con cui venivano indicati i neri. Johnson tira dritto. Si piazza al centro del ring e comincia a mazzolare. Jeffries non ha scampo: al round numero 15 finisce al tappeto e ci rimane. Una legge vieta il filmato dell’incontro: il k.o. del nero al bianco non può essere troppo visto in giro. Sarebbe un invito alla ribellione, la prova lampante che non esiste una razza superiore. Per Jack cominciano i guai, le accuse, le imboscate. Nulla sarà come prima, nella boxe e forse in America. Cent’ anni dopo, nulla è cambiato per Jack Johnson, il nero che prendeva a pugni (e in giro) i bianchi.
Claudio Colombo