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 2010  luglio 02 Venerdì calendario

«MORTE PER GADGET» QUANDO GLI SMART-PHONE FINANZIANO LA GUERRA – I

diamanti di Naomi Campbell e i nostri telefonini hanno in comune qualcosa di africano, qualcosa di insanguinato.
La Corte penale internazionale dell’Aia l’altro giorno ha ingiunto alla top-model di testimoniare nel processo che vede l’ex presidente della Liberia Charles Taylor accusato di crimini contro l’umanità per il suo ruolo nella guerra civile in Sierra Leone. Cosa c’entra Naomi? Taylor finanziava le bande assassine con il commercio di diamanti. Un giorno del 1997 in Sudafrica, a casa di Nelson Mandela, Taylor regalò una gemma a Naomi, che ne parlò raggiante a un’altra invitata alla festa, Mia Farrow, che ha fatto la «spia». Quel diamante sarebbe una prova che Taylor poteva contare su un tesoro per blandire belle donne e finanziare atrocità. E i nostri telefonini? Il nesso tra i prodotti elettronici portatili (dagli smart-phone ai laptop) e i crimini perpetrati in Africa è in apparenza ancora più indiretto del legame tra l’ingioiellata Naomi e le teste tagliate in Sierra Leone. Mai succederà che un tribunale Onu ci chiami a testimoniare in un (ipotetico) processo ai responsabili del massacro di oltre 5 milioni di persone in Congo.
A che titolo? Tutti i nostri gadget elettronici funzionano perché i condensatori al loro interno contengono tantalio. Un quinto della produzione mondiale di questo metallo viene dal Congo. Le elezioni del 2006 e la presenza di 18 mila Caschi Blu (la più imponente missione Onu) nella regione orientale del Kivu non ha fermato quello che l’Economist definisce «un caleidoscopio di conflitti». Difficile fermarlo: secondo un rapporto esterno commissionato dalle stesse Nazioni Unite anche (alcuni) peacekeeper sarebbero coinvolti negli scontri tra gruppi armati sulla pelle dei civili. Nel caleidoscopio c’è di tutto: le bande hutu fuggite dal Ruanda dopo il genocidio e l’attuale governo di Kigali, lo zampino del Burundi che rifornisce di armi i gruppi ribelli e la manona dell’esercito congolese che rivendica una parte del bottino. Perché nell’Est Congo si tagliano braccia, si violentano in serie donne e bambini senza però dimenticare gli affari. Si scavano fosse comuni e miniere. La regione è ricchissima di minerali. Tra questi il tantalio, che si ricava dire del tantalio e degli altri minerali made in Congo? «Death by gadget» dice senza mezzi termini Nicholas Kristof. Morte per gadget. Qualche giorno fa dal suo blog sul New York Times il miglior reporter americano di guerre dimenticate ha rilanciato l’appello. Che fare: buttare lo smart-phone e tutti i nostri preziosi strumenti portatili? Lasciare il mercato ai cinesi che già fanno affaroni con il governo di Kinshasa?
Kristof propone una cosa semplice: le case produttrici (dalla Apple a Intel a Research in Motion) devono certificare che il loro (il nostro) tantalio non provenga dalle miniere insanguinate dell’ex Zaire, senza accontentarsi delle autocertificazioni di chi vende la materia prima. Ci costerà qualche centesimo in più sul prodotto finale ma almeno non ci farà pensare alle migliaia di donne violentate in Congo quando mandiamo un’email. Kristof rimanda a un video su YouTube in cui attori di Hollywood (Brooke Smith, Joshua Malina, John Lehr) fanno il verso alla famosa divisione tra popolo Mac e popolo Pc. «Non siamo poi così diversi» riconoscono alla fine i due rivali, tirando fuori dalle tasche un po’ di polvere di tantalio, polvere insanguinata. da un impasto di minerali (colombite-tantalite) noto come coltan. La caccia al coltan non sarà la causa ma è certo un elemento importante che fa girare il caleidoscopio. Laptop, cellulari, playstation: in ognuno dei nostri gadget elettronici portatili c’è un pezzettino di Congo, un granello del caleidoscopio.
Non è una novità. Ma se si torna giustamente a discutere di bloody diamonds nello Zimbabwe (i nuovi giacimenti di Marange controllati dall’esercito del presidente-dittatore Mugabe sono teatro di abusi e violenze, 200 schiavi-minatori uccisi in un anno) e del diamante di Naomi, cosa si dovrebbe dire del tantalio e degli altri minerali made in Congo? «Death by gadget» dice senza mezzi termini Nicholas Kristof. Morte per gadget. Qualche giorno fa dal suo blog sul New York Times il miglior reporter americano di guerre dimenticate ha rilanciato l’appello. Che fare: buttare lo Smart-phone e tutti i nostri preziosi strumenti portatili? Lasciare il mercato ai cinesi che già fanno affaroni con il governo di Kinshasa?
Kristof propone una cosa semplice: le case produttrici (dalla Apple a Intel a Research in Motion) devono certificare che il loro (il nostro) tantalio non provenga dalle miniere insanguinate dell’ex Zaire, senza accontentarsi delle autocertificazioni di chi vende la materia prima. Ci costerà qualche centesimo in più sul prodotto finale ma almeno non ci farà pensare alle migliaia di donne violentate in Congo quando mandiamo un e-mail. Kristof rimanda a un video su Youtube in cui attori di Hollywood (Brooke Smith, Joshua Malina, John Lehr) fanno il verso alla famosa divisione tra popolo Mac e popolo Pc. «Non siamo poi così diversi» riconoscono alla fine i due rivali, tirando fuori dalle tasche un po’ di polvere di tantalio, polvere insanguinata.
Michele Farina