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 2010  luglio 03 Sabato calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 23 - CAMILLO CONTA I DENTI

C’è questa stranezza, che Cavour viene messo continuamente alla prova in mestieri di cui non s’intende.
Hyppolite De La Rüe, dopo aver fatto il banchiere a Genova e a Ginevra, s’era comprato una terra vicino a Rivarolo. Il conte era andato a trovarlo ed era rimasto tutto il tempo sulle spine, «magari pensa che io, siccome mi è stata affidata Grinzane, capisca di queste cose. Se non distinguo un cavolo da una rapa!». Per condurre Leri, Michele e zia Vittoria gli riconoscevano 1.250 lire l’anno a rimborso delle «spese tutte di viaggi sia di lui che del suo cocchiere». Poi aveva diritto a un terzo degli utili, detratte però 45 mila lire destinate in ogni caso a Michele, mille lire per l’interesse sui prezzi dei merinos, e 1.250 lire per spese di segreteria, «tenuta de’ conti, provvista di carta, spese di posta, mantenimento di cavalli e cocchiere di Leri». Aveva incassato un piccolo lascito di Paolina Borghese, 1.300 lire che lei gli aveva destinato nel ”10, quando l’aveva tenuto a battesimo. E se l’era giocato quasi tutto al caffè Fiorio, dove aveva perso 1.200 lire in una sola sera, passando poi il resto della notte a insultarsi e darsi pugni in testa e far propositi che non avrebbe mantenuto.
Tra gli altri vizi di Cavour bisognerà quindi aggiungere anche quello del gioco?
Senz’altro. E a tavoli di whist con fiches anche da 25 luigi. Per questo la madre non voleva dargli soldi e fece resistenza quando venne l’occasione di comprargli una proprietà, il Torrone, 296 ettari vicino a Leri, che l’avvocato Mattirolo, all’inizio resistente, fu persuaso a vendere da Michele appena nominato capo della polizia. La madre insisteva che questa proprietà avrebbe indotto il figlio a far debiti. Michele, riferendoglielo, scrisse a Cavour che «se tu non sai esser uomo a venticinque anni, non lo sarai più». E gli consigliava di «spendere pochissimo», «metter da parte denari», «far senza un cavallo e un legnetto» e non sognarsi il cameriere, «che il generale Sambuy non lo aveva a cinquant’anni». La madre alla fine si convinse a prestare ventimila lire.
Prestare?
Sì, quando si trattava di denaro, i figli avevano solo il vantaggio delle garanzie, se i genitori erano disponibili. Ma era ovvio che bisognava restituire, anche perché il capitale veniva prelevato da una cassa che in futuro sarebbe finita al primogenito. Cavour fece un mutuo di 145 mila lire con lo zio Paul-François de Sales, associò nell’acquisto il barone Duport e si fece prestare altre 75 mila lire da Hyppolite. Scrisse ad Augusto De La Rive che l’affare era eccellente, «solo mancano i soldi...».
In che consisteva alla fine questo lavoro di agricoltore?
Leri, dopo l’acquisto del Torrone, era una proprietà di 1.200 ettari su cui si rompevano la schiena un centinaio tra salariati e manovali fissi. I terreni erano messi a grano, poi a mais e per gli ultimi tre anni a riso. Così dal tempo dei tempi. Michele, per pigliarci un qualche utile, ci aveva battuto il capo per quindici anni, finendo negli anni Venti addirittura in depressione. S’era rinchiuso tutta un’estate con gli Oblati di Maria, aveva osservato la regola del silenzio, sentito dieci messe al giorno, infine bruciato pubblicamente le patenti massoniche. La rabbia era ancora maggiore perché si vedeva che Leri era in potenza un affare. Ma occorrevano prati per i foraggi e bestiame per i concimi. La risaia doveva arretrare ad ogni costo e per la bonifica ci volevano dodicimila franchi. A quell’epoca c’erano settantacinque salariati e bisognava pagarli 10 franchi a giornata di terreno, intanto il prezzo dei cereali era basso, e per rientrare dalle spese sostenute per aumentare i prati bisognava produrre più carne e più formaggio, in modo da ripagarsi fieni e trifogli. L’acquisto di mucche comportava però la costruzione di due vaccherie, e alla fine si pensò che forse col letame dei merinos... Il marchese uscì definitivamente dall’umor nero quando scoprì che il concime di dieci pecore equivaleva a quello di una mucca.
Era di questo che avrebbe dovuto occuparsi il conte di Cavour, futuro unificatore d’Italia?
All’inizio soprattutto dei merinos, che il pascià d’Egitto comprava a Leri fin dal 1829. Quell’anno, Mehmet Alì voleva mille capi, e le pecore di Leri non bastavano, perciò il conte dovette andare a Villach a ritirare un gregge ungherese da 328 bestie. Gli austriaci gli fecero storie alla Buffalora, perché lo conoscevano dal ”30 come pericoloso sovversivo e lo fecero passare solo perché, in definitiva, era il figlio del capo della polizia sarda. Abbiamo una nota di suo pugno, risalente a fine aprile ”36, in cui si fa il conto «del branco di arieti merini fatta la mattina prima della loro partenza da Villach», quanti da due denti, quanti da quattro, quanti da sei...
Le pecore merinos possono essere di diversa dentatura?
Dai denti si capisce l’età. E nessun capo doveva avere più di tre anni.