Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  luglio 03 Sabato calendario

PER MARE E PER TERRA IN 5835 VERSI

La voce narrante scelta da Silvia Ronchey per ripercorrere il viaggio degli Argonauti, è quella di Tersànore, figlio di Apollo e della ninfa Leucotea: ha fantasticato fosse lui l’autore (in realtà ignoto) del racconto e che per questo si fosse auto-omesso (il suo nome è citato solo nelle Fabulae di Igino) dalla lista dei compagni di Giasone.

Le Argonautiche, come oggi le leggiamo, è un poema epico in 4 canti (5835 esametri), attribuito ad Apollonio Rodio (295-215 a. C. circa), greco dell’età alessandrina, allievo di Callimaco. Filo conduttore è la spedizione di Giasone con 50 uomini sulla nave Argo che salpa dalla Grecia alla conquista del Vello d’Oro in Colchide, sul Mar Nero. L’episodio più noto è la passione per Giasone di Medea, che ispirerà la figura di Didone nell’Eneide di Virgilio. La migliore versione contemporanea è quella di Guido Paduano, con commento dello stesso Paduano e di Massimo Fusillo nei tascabili Rizzoli, con testo greco a fronte (pp. 718, e8,26, 1986).

Le Argonautiche, scrive Paduano, è il poema della volontà umana: «L’assunzione convinta del progetto, la fede nelle proprie capacità di realizzarlo e il riscontro oggettivo di questa fiducia». Altra traduzione, curata da A. Borgogno, negli Oscar Mondadori (pp. LXXXIX - 498, e12).