Giovanna Gabrielli, il Fatto Quotidiano 2/7/2010;, 2 luglio 2010
IL FATTO DI IERI - 2 LUGLIO 1961
Cuba e Hemingway. ”Uno vive su quest’ isola – scrisse Hemingway – perché per andare in città non devi fare altro che metterti le scarpe, perché basta mettere un giornale sul telefono per non sentirlo quando suona, e perché nella frescura del mattino si lavora meglio che in ogni altro posto”. Civetterie alla Hemingway. E subito lo immagini, in quel set caraibico, vissuto per anni come riserva d’ispirazione. A scrivere sulla sua macchina dai tasti neri nel buen retiro di Finca Vìgia di fronte all’Oceano, a bordo del Pilar, la barca compagna di scorribande a caccia di barracuda, sfinito di whisky e daiquiri, a tirar l’alba alla Terrassa di Cojimbra. C’è un altro e ultimo Hemingway, a Cuba. Lontano l’uomo del Nobel, l’eroe della Guerra di Spagna o della liberazione di Parigi. A Finca Vìgia c’è ”Mister Papa”, il bevitore, lo spaccone, il genio stravagante che si misura con Castro in epiche battute di pesca. C’è l’ex di se stesso, inseguito dai fantasmi dell’FBI, che scrive per sconfiggere il vortice di malinconia. E che a Cuba non vorrà legare l’ultimo, tragico atto della sua vita. Per quella fucilata in bocca del 2 luglio ”61, sceglierà un luogo lontano. Ketchoum, tra le colline americane dell’Idaho.