Giorgio Bocca, lཿEspresso 8/7/2010, 8 luglio 2010
UN SOGNO TRA LUCI E OMBRE
Se penso a ciò che lascia il segno nella nostra vita, ai desideri, le paure, le speranze che ora la rattristano e ora la allietano, devo dire che nel mio caso appartenevano tutto meno che al ragionevole. Che insomma, come dice il poeta, "la vita è sogno", un correre dietro pensieri infantili, un vano alternarsi di luci e di ombre ingannevoli.
Una mia preoccupazione dominante è stata quella della sicurezza economica presente e futura, non solo mia ma dei miei figli e nipoti. Una preoccupazione assurda in un tempo in cui un automobilista ubriaco può ucciderti anche se stai su un marciapiede o sulle strisce pedonali. Unica consolazione il "mal comune mezzo gaudio", a che altro pensavano, di che altro si preoccupavano i grandi della storia se non di questi assurdi pensieri o fuggevoli angosce e trasalimenti?
La ragione forse è semplice, banale come quella di chi ti vuol convincere che non devi avere paura della morte: fin che sei vivo sei vivo e ringrazi il cielo, quando sei morto sei morto e non puoi farci niente, neppure pensarci su e dolertene. Ma è uno di quei ragionamenti di tipo "Achille non raggiungerà mai la tartaruga" che definiamo sofistici per dire faziosi e fallaci.
Dunque ho passato la vita a preoccuparmi della sicurezza economica mia e dei miei figli e nipoti sino a forme maniacali. Ricordo che durante una vacanza da ricco in Grecia, in un albergo da ricchi, di fronte un mare da ricchi, passavo delle ore a fare i conti della mia ipotetica miseria nel caso ipotetico il giornale mi avesse licenziato in tronco e la mia giovane moglie mi guardava giustamente come un pazzo. E poi il pensiero fisso della salute mia e dei miei discendenti come se non fosse evidente che preoccuparsene sarà normale ma assolutamente inutile, perché può sempre caderti in testa un vaso da fiori o puoi rimanere schiacciato da un terremoto. Neppure l’onnipotente televisione, nostra lanterna magica, riesce a convincerci dell’inutilità di preoccuparsi, lei che ogni giorno, per riempire i divoranti palinsesti, vulgo programmi, ci rifila decine di morti casualmente ammazzati e di parenti in lacrime, per alcuni vere, per altri di coccodrillo.
Altra preoccupazione dominante affliggente: essere amati. Da tutti, anche dai concorrenti che hai battuto, anche dai nemici che hai insolentito. un vizio che chiamano masochismo, amor di persecuzione, godimento di tortura. Ho avuto diversi eccellenti direttori di giornale, ma quello che resta dominante nella mia memoria, odiato ma con un suo nero fascino, è stato quello che per sette anni, senza ragione, per naturale antipatia, mi ha fatto mangiare il quotidiano "chilo di merda" che spetta a ogni vivente di cui parla Hemingway. E quando finalmente se ne andò, e arrivò un nuovo direttore che mi trattava da amico e tutti assieme ci trovavamo a un pranzo della corporazione in Val d’Aosta, io piantai il nuovo direttore amico per occuparmi del vecchio carogna, che quando lo lasciai disse a un commensale: "Sempre lo stesso coglione quel Bocca".
La vecchiaia, come diceva Camilla Cederna: " bella. Peccato che duri poco" e sarebbe il tempo della saggezza, come dicono i retori finché sono giovani. Ma la vita è un ondeggiare tra mode mutevoli, con cui cerchiamo di fuggire alla noia del risaputo, del ripetuto e dei condizionamenti generazionali: rivoluzionari da giovani quando si è forti, e avidi conservatori da vecchi quando si è stanchi e deboli.