RODOLFO SALA, la Repubblica 2/7/2010, 2 luglio 2010
LEGA, TRA I COLONNELLI ARIA DA RESA DEI CONTI - MILANO
«La guerra vera è cominciata, adesso ci si conta». Forse esagera, il colonnello leghista interrogato sul «casino» - parola loro - scoppiato nel Carroccio dopo l´incredibile vicenda Brancher, il pidiellino amico promosso ministro all´Attuazione del federalismo all´insaputa di Bossi (che lo credeva insediato all´Agricoltura) e due giorni dopo degradato a titolare del Decentramento da un Senatùr furioso sul palco di Pontida. «Caso chiuso», ha poi detto il Capo. «Non è neppure un caso», ha rafforzato ieri Maroni, di solito assai silenzioso sulle questioni interne al movimento, e tutto concentrato - a differenza del collega Calderoli - sul proprio ruolo istituzionale. La guerra di cui, alla vigilia del "federale" convocato oggi nella sede di via Bellerio, parla il colonnello leghista, ha molto a che fare con il "pasticciaccio brutto" della promozione di Brancher. E sono in molti, tutti sotto la garanzia dell´anonimato, ad accreditare la tesi secondo la quale sarebbero proprio i due Roberto (Maroni e Calderoli) a capitanare due fazioni in lotta per la successione a Bossi.
Qualcosa aveva fatto capire, due giorni fa, un altro Roberto, il viceministro Castelli che dalle colonne del Giornale si era deciso a lanciare un siluro a Calderoli. In soldoni: quando del partito si occupava Maroni nella Lega c´era più collegialità, adesso invece troppi tendono a fare di testa loro, a occupare spazi indebiti, a prodursi in «fughe in avanti» che minano il totem dell´unità interna e disorientano la base. Inutile dire che a capo delle segreterie della Lega ora (e da parecchio tempo) c´è l´iperattivo Calderoli, instancabile dominus dell´organizzazione oltre che ministro in ottimi rapporti con Tremonti. L´obiettivo di Castelli era dunque proprio lui.
Certo, finché c´è Bossi - ecco l´esagerazione - nessuno oserà lanciare l´attacco, ma una cosa è vera: i generali e le truppe leghiste si stanno posizionando e per la prima volta da parecchi anni il monolitismo ferreo, che è uno dei tratti essenziali del movimento, sembra vacillare. Sarà un caso, ma quella domenica a Pontida Bossi ha lanciato un messaggio: «Ho bisogno di qualcuno di cui fidarmi, adesso faccio salire sul palco mio figlio Renzo, che è bravo e sta percorrendo la sua strada». Messaggio in codice, secondo la complessa liturgia leghista: come a Lugano nel 2005, primo comizio del Senatùr dopo la malattia. Anche allora Renzo, che aveva 17 anni, fu vagamente indicato come successore, un modo per intimare agli scalpitanti colonnelli di stare buoni. Analogia impressionante, ma questo è il clima nella Lega di governo gonfia di voti eppure attraversata da profondi scossoni.
«Nessuno di noi - attacca un altro "antipatizzante" lombardo del ministro della Semplificazione - sopporta i voli pindarici e gli a solo. Se Calderoli ha in mano il partito, Maroni ha la politica, perché nessun ministro ha fatto bene come lui; comunque vada, sarà una bella gara». Impensabile, almeno fino a dieci giorni fa. «Qualcuno - gli fa eco un pezzo da novanta del leghismo veneto - pensa alla successione e si sta organizzando, bisogna solo sperare che tutto avvenga il più tardi possibile». I veneti contano, eccome. Ma sanno benissimo che per il "dopo" la gara sarà tra varesini (Maroni) e bergamaschi (Calderoli). Fino a qualche mese fa i due sembravano aver stretto un´alleanza solida, adesso nella Lega è tutto un darsi di gomito sul freddo calato tra di loro. C´è dell´altro, a rendere il quadro molto complicato: è il ruolo che starebbe giocando un quartetto di fedelissimi con accesso diretto al Capo: Rosy Mauro, Marco Reguzzoni, Federico Bricolo, Giancarlo Giorgetti. «Sono loro - accusa un varesino filo-maroniano - che cercano in tutti i modo di accaparrarsi quote di potere in virtù della stretta vicinanza a Bossi, per questo buttano fango su tutti». Se non è guerra, poco ci manca.