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 2010  luglio 08 Giovedì calendario

«ENTITA’ CRIMINALI, TERZO LIVELLO, CONCORSO ESTERNO ALLA MAFIA: VI SPIEGO PERCHE’ I MIEI COLLEGHI SI OSTINANO A SBAGLIARE»


Il soprannome di «ammazzasentenze» datogli dai suoi accusatori, per i processi degli anni
Ottanta di cui si occupò da presidente della prima sezione penale della Cassazione, gli è rimasto addosso come un marchio. Ma Corrado Carnevale, 80 anni, ex presidente della Cassazione, ora membro della terza sezione civile della Suprema corte, processato per concorso estemo in associazione mafiosa è stato assolto.

La sentenza di Palermo stabilisce che il senatore Marcelle Dell’Utri concorse agli interessi di
Cosa nostra, per quanto esternamente, fino al 1992. Poi non più, dal momento che, a partire dal 1992, questo almeno ha sentenziato la corte, è diventato un irreprensibile cittadino.
«Cioè sarebbe usato dalla mafia».
Evidentemente.
«S’era proprio stufato».
Sembrerebbe.
«Come lo capisco. Vogliamo parlarne sul serio?».
Sì.
«E allora le rivelerò un segreto: non è così consueto che uno possa farsi un giro di valzer con Cosa nostra e poi piantare un simile partner in mezzo alla pista a svolazzare da solo come un cretino».
Fuor di metafora?
«In due modi si esce dalla mafia, e non ce ne sono altri: o morti o espulsi. L’espulso, in genere, poi viene anche ucciso».
Il senatore Dell’Utri pare vivo.
«Vuoi dire che sempre due sono le possibilità: o non ha mai fatto parte della mafia o ne fa ancora parte».
La seconda che ha detto è stata esclusa.
«In quel caso, la prima non è credibile».
Invece lo è, dicono i suoi colleghi. Esternamente mafioso, ma mafioso.
«Il mafioso a tempo? Vengono a rifilarci una bubbola del genere? Le rivelerò il secondo segreto: il mafioso non è una specie di boy scout alla rovescia, che deve compiere tutti i giorni la sua cattiva azione per essere utile alla causa. Basta essere stato a disposizione
una volta per essere considerato a disposizione sempre».
Riassumendo?
«Non è possibile che uno si dimetta da mafioso, così come, per essere parte della mafia, non è necessario mafiare ogni 24 ore. Una mafiatina ogni tanto è sufficiente. Se uno, poi, ricopre un ruolo importante nella società civile, non è nell’interesse dell’organizzazione
disfarsene. Quindi, se lo tiene».
Se era suo.
«Certo, se era suo».
Ma se era suo soltanto dall’esterno? Un po’ sì e un po’ no? In quel caso, potrebbe usarlo prima e poi non più. O un po’ e un po’. Part time...
«Il fatto di essere siciliano non mi attribuisce particolari vantaggi. Ma il fatto di essere un umano mi impedisce di sentirmi fesso come certe sentenze vorrebbero convincermi che sia».
Lei pare diffidare eccessivamente di quell’articolo del codice che parla di concorso esterno
all’organizzazione mafiosa. Che non sarà magari interno, dal momento che è esterno, ma
pur sempre qualcosa sarà.
«Guardi, il concorso esterno è un’invenzione. Dal punto di vista giuridico non sta in piedi. O si dà un apporto o non si da. Per essere partecipi dell’organizzazione criminale, non è necessario compilare domande, sostenere concorsi o partecipare a un’iniziazione. 
letteratura. Chi svolge attività vantaggiose per la mafia ne fa parte, senza tanti arzigogoli. Ma questo è un paese dove piacciono più gli arzigogoli che le prove».
Perché?
«Perché l’arzigogolo lascia aperte molte porte e rende possibile qualche campagna che la durezza della prova non consentirebbe. L’arzigogolo richiede infinite pagine, la prova poche. E nell’infinità delle pagine, lei sa come va il mondo, infinite sono le scappatoie».
Eppure, un magistrato valente come Piero Grasso, che non guida per un caso l’antimafia
nazionale, ha sostenuto la teoria dell’«entità». Della trattativa tra Forza Italia e mafia, del do ut des. Dell’accordo, e vedi mai di un golpe. Insomma, su Dell’Utri è andato giù pesante.
«La cosa mi ha sorpreso per due motivi. Grasso, se non sbaglio, e non sbaglio, è stato per lunghi anni procuratore capo della Repubblica a Palermo».
Appunto, mica è il tipo che parla per parlare.
«Dovrebbe esprimersi, se non sbaglio, e non sbaglio, ”ex informata coscientia”. Cioè doveva conoscere l’argomento di cui stava parlando».
Certo che lo conosceva.
«E per questo mi ha stupito. Di questi accordi tra forze politiche, di nuovo o vecchio conio, e la mafia si parla da decenni».
Il famoso terzo livello, che poi diventa il quarto o il quinto.
«Quello. E se non sbaglio, ma non mi sbaglio, si parlava della terribile faccenda non solo a livello mediatico, anche giudiziario».
Vorrei vedere, hanno impilato una quantità d’inchieste che non basta uno stadio.
«Bravo. Sia la procura di Palermo sia la procura di Caltanissetta hanno svolto indagini a tappeto che si sono concluse».
Con risultati non proprio sfolgoranti.
«Con un nulla di fatto».
Per cui, deduce lei...
«Come si fa a sostenere in giro che esista, probabilmente, ciò che sai che non esiste?».
In dubio veritas è l’atto fondativo di ogni pensiero filosofico.
«Non solo Grasso sapeva che non risultava alcunché, delle paure di cui andava raccontando sui giornali, ma aveva diretto le indagini dalle quali non risultava alcunché. O non era lui il capo dell’ufficio che aveva aperto, diretto e concluso quelle indagini? Era un altro Grasso?».
No, era quel Grasso, questa volta non sbaglia.
«E allora?».
Ex disinformata coscientia?
«Resta un inspiegabile mistero».
Lei non sembra considerare che nel frattempo era arrivato il pentito Gaspare Spatuzza, il
quale non sembrava, diciamo, il 2 di coppe.
«Ah, già, il pentito Spatuzza».
Ha riferito che Giuseppe Graviano gli aveva riferito.
«Al bar».
Perché, dovevano forse vedersi all’Accademia dei Lincei?
«Che cosa è uscito, di nuovo? Se, come credo, le informazioni giornalistiche erano esaustive, e non hanno nascosto nulla, anzi, semmai aggiunto, dov’erano le clamorose novità sull’accordo tra la forza politica di nuovo conio e la mafia? Le rivelazioni sulla sconvolgente trattativa?».
Nelle parole di Spatuzza: «Graviano mi disse chi ci garantisce. Mi vennero fatti i nomi di
Berlusconi, quello di Canale 5, e di un compaesano, Dell’Utri, che ci hanno messo il Paese in
mano».
«Frase definitiva».
Non ironizzi.
«E Grasso, più siciliano di me, che ha passato la vita in Sicilia, non conosce i comportamenti, le abitudini e i modi di dire dei signori mafiosi?».
Tenderei a escluderlo, ma cosa c’entra?
«Guardi, ho deciso di rivelarle il terzo mistero. Le descrivo lo schema, su comportamenti, abitudini e modi di dire dei signori mafiosi?».
Come no...
«Lo schema è questo: il capo mafioso deve sempre mostrarsi importante davanti al picciotto. Egli è colui che tutto conosce e tutto può. Esempio. Se il gregario domanda al capo: lo conosci il direttore del Messaggero?, il capo, che di quel giornale non ha mai letto
una riga, risponderà: ”n’aiu sentutu parlari”. Se, per puro caso, ha letto per una volta il nome del direttore in calce a un articolo, al picciotto risponderà così: ”’u canusciu, ”u canusciu”. Se poi avesse avuto mai occasione di incontrarlo, di sfuggita, una volta, magari
mezza, il meno che dirà al picciotto sarà questo: ”l’aiu ne’ manu”, lo tengo in mano. Questa è la storia, non altra. Poi, per chi li ama, ci sono gli arzigogoli».
Troppo fantasioso.
«Per nulla fantasioso, L’uomo politico siciliano si comporta all’incirca nello stesso modo».
Questa è pesante.
«Dissero a suo tempo, su di me, di avermi segnalato questa cosa e quell’altra. Ma io segnalazioni non ne avevo ricevute. Risulta agli atti, è stato dimostrato. Se poi la mia
sentenza andava nel senso desiderato, se ne uscivano così: ”vidissi che successe? Io fui”. Se andava male: ”’stu disgraziato”, inveivano, e là finiva. Capito?».
Perciò?
«Perciò, ammesso e non concesso che Graviano abbia davvero detto ciò che Spatuzza ha riferito, mi dice che valore aveva?».
Comunque, i giudici palermitani l’hanno pensata come lei.
«Ma hanno emesso la sentenza che hanno emesso».
Pilatesca?
«Le racconto un episodio, capitato molti anni fa. Spinoso, perché riguardava Licio Gelli. Era accusato di strage per l’attentato alla stazione di Bologna. Verrà poi condannato per calunnia, che è una cosa leggermente diversa dalla strage. In camera di consiglio eravamo in cinque. Lessi le 40 pagine della requisitoria che lo accusava di strage. Poi chiesi l’opinione dei quattro consiglieri: ” acqua fresca” mi risposero tutti e quattro. Allora la annulliamo,
dissi. ”E che? Vogliamo andare a finire sui giornali?” fu la risposta. Votammo, persi quattro a uno. Da allora nella magistratura italiana nulla è cambiato».

Il colloquio col presidente Corrado Carnevale è stato molto lungo.
Ha parlato di etica nella professione, del rispetto dovuto agli imputati, della presunzione di non colpevolezza, della separazione delle carriere con ragioni non usuali, dell’inconcludenza del governo nel progetto riformatore, delle correnti, del Csm, della corporazione e della debolezza, se non della viltà, di molti magistrati. E delle intercettazioni, naturalmente, oltreché del vecchio, e produttivo, e ormai abbandonato modo di condurre l’investigazione.
Ha parlato, in modo signorile ed esilarante, delle manovre per impedirgli di ricoprire il ruolo di rango che gli spetta nella Corte di cassazione. E di molto altro, cultura e protagonisti di Mani pulite compresi.
Veniva un libro, peccato. Mi scuserà.