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 2010  luglio 02 Venerdì calendario

LEGGERE BARICCO E SILONE A TEHERAN

Che cosa si legge ­ davvero - oggi in Iran? Il bestseller di Azar Nafisi Leg­gere Lolita a Tehe­ran ha lasciato in­tendere a migliaia di lettori in tutto il mondo che nella Re­pubblica Islamica si legga solo «sottobanco», in modo furti­vo, clandestino, e preferibil­mente letteratura occidentale dalle virtù emancipatorie.
 questa una visione che pia­ce alle case editrici americane ed europee, tant’è che ci han­no costruito sopra una moda molto remunerativa: quella dei romanzi, sovente compo­s­ti in inglese da scrittrici irania­ne emigrate, che sfruttano le presunte atmosfere «sovieti­che », totalitariste, dell’Iran di Ahmadinejad. Leggessimo so­lo Viaggio di nozze a Teheran
di Azadeh Moaveni (Newton Compton) o Le porte chiuse di Teheran di Zarah Ghahrama­ni (Sperling&Kupfer), per sce­glierne due recenti tra le deci­ne di titoli usciti negli ultimi anni sull’argomento, finirem­mo col pensare che l’Iran è una nazione dove vivono sol­tanto donne represse che, per dirla assecondando un luogo comune, la notte scendono per le strade della capitale a ri­morchiare uomini nel tentati­vo di «trovare la propria identi­tà » e di «liberarsi dal giogo», maschile, of course . Si tratta - è abbastanza chiaro - di libri ad uso e consumo delle lettrici oc­cidentali, che amano, fin dai tempi della Principessa di Clèves , le storie d’amore piene di ostacoli.
Piuttosto, sarebbe interes­sante tentare di capire (lo sug­geriamo anche agli editor) co­s’altro si scrive in una nazione che conta settanta milioni di abitanti, per due terzi sotto i 35 anni, e una millenaria tradizio­ne letteraria, di cui basta ricor­dare Le mille e una notte e la poesia di Firdusi, Omar Khay­yam, Rumi. Siamo così andati a ve dere in loco .
Nei dintorni della Facoltà di Lettere di Teheran, vicino al­l’edificio azzurro dove l’imam tiene il suo sermone ogni ve­nerdì a mezzogiorno, sorge un gran numero di librerie, sem­pre piene di clienti da mattino a tarda sera. In Iran non ci so­no le nostre classifiche dei «più venduti» o le statistiche Nielsen, ma i librai hanno il polso preciso della situazione. «Qui i giovani leggono nella stessa misura - ci racconta uno di loro - classici e novità. Tra queste ultime è ormai arri­vato all’ottantesima edizione Madre di Zahra Hosseini. Si tratta di un memoir romanza­to sulla guerra Iran-Irak degli anni Ottanta, uno degli argo­menti più frequentati dagli scrittori iraniani contempora­nei. Ci sono poi autori per ado­­lescenti, sul genere del vostro Federico Moccia: Fahimeh Rahimi e M. Moaddab Pour. Oltre a questi vendo davvero bene Spengo le luci di Zoya Pir­sad, alla ventiseiesima edizio­ne, un racconto sulla vita delle minoranze etniche iraniane, nel caso specifico quella degli armeni, e Dai un bacio al bel viso di Dio di Mostafa Mastur, biografia immaginaria di un professore universitario mor­to suicida per ragioni senti­mentali e non sociologiche o politiche, come crede inizial­mente un suo studioso che è anche voce narrante del ro­manzo. Tra i classici, vendo molto il nostro Kafka iraniano, Sadegh Hedayat, autore di La civetta cieca e Tre gocce di san­gue ,
tradotti anche da voi. Uno scrittore laico, vitale e triste al tempo stesso. Altro classico, ma nella saggistica, è il Dr. Sha­riati, autore pure di racconti. I suoi titoli più venduti sono Fa­tima è Fatima e Deserto . Era un tipo allegro, credeva in un Islam più aperto, contestava lo scià con uno stile insupera­bile e fumava tantissime siga­rette ».
«In Iran si pubblica un po’ di tutto - dice Ali Debashi, diret­tore di Bokhara , la maggior ri­vista letteraria iraniana, tre­cento pagine per ciascun nu­mero (bimestrale) e vent’anni di storia - . La tiratura iniziale di un libro è più o meno di 3000 copie, ma la ristampa è scontata, arriva da sé. Perso­nalmente, mi piace molto Ja­malzadeh, tra i maggiori scrit­tori di short stories in Iran. Ma gli scrittori qui sono davvero tanti e tutti molto bravi. Ti cito solo quelli che hanno tra i ven­ti e i quarant’anni: Javad Mah­zade, Non togliermi il tuo sorri­so , memoria della guerra Iran-Irak; Abbas Marufi, L’anno del­la protesta , ambientato duran­te la Seconda guerra mondia­le; Nahid Fabatabie, Quaran­tenne , storia di una donna ira­niana alle prese con crisi di ogni tipo, sentimentaliepoliti­che; Monir Rafani Pour, Il suo servo , libro nello stile di Faulk­ner ambientato nel sud del­l’Iran.
Sono tutti scrittori indi­pendenti. Sia loro che io abbia­m­o qualche screzio con la cen­sura, ovvio, ma la cosa non va oltre le solite pressioni che tut­ti i governi del mondo, se criti­cati in modo davvero corrosi­vo su temi sensibili, mettono in campo».
Difatto in Iran la censura ha regole così capricciose - come tutte le censure della storia ­da essere completamente inu­tile.
A Teheran si racconta an­cora di quando I figli della mez­zanotte di Salman Rushdie ri­cevette dalle stesse mani di Khamenei, guida religiosa del Paese, un importante premio letterario: fu poco prima che apparissero i Versetti satanici dello stesso autore, seguiti da quella fatwa che li rese famosi ben oltre il loro valore artisti­co. La realtà è che nelle libre­r­ie iraniane si trovano tranquil­lamente titoli che vanno dal
Codice da Vinci di Dan Brown, in teoria un altro libro «incri­minato » dalla censura, alla biografia di David Beckham, fi­no ai saggi «ebraici» di Theo­dor Adorno e Hannah Arendt. «La letteratura non serve a ri­svegliare le masse - ci dice Re­za Gheissarieh, traduttore dal­l’italiano e grande appassiona­to di Moravia - e l’aver creduto questo fin dai tempi della Rivo­luzione, l’averla creduta capa­ce di miracoli collettivi e politi­ci in un senso o nell’altro, ha finito col generare una sua so­pravvalutazione. La censura, così, è arrivata di conseguen­za, nella speranza di poter te­nere sotto controllo ciò che si pubblica. Ma quelle volte che viene applicata, più per ricor­dare che esiste, crea solo scon­tento ».
Gheissarieh, che è anche ro­manziere in proprio, è uno dei tanti iraniani ammiratori del­la nostra letteratura, che negli ultimi anni ha visto un succes­so inatteso e costante: ci è capi­tato di vedere a Teheran una vetrina composta soltanto di li­bri di Ignazio Silone. «Due set­timane fa - ci ha spiegato il li­braio- si è tenuto qui un conve­gno su di lui. C’erano trecento persone. Prima ancora, ci so­no state le serate dedicate a Buzzati e Calvino: quest’ulti­mo in Iran, forse per la sua vi­sione epistemologica del mon­do forse per la circolarità di gu­sto mediorientale di alcune sue narrazioni,è l’autore italia­no più letto. A settembre, inve­ce, ci sarà il convegno su Pave­se. Ma non sono certo gli unici scrittori italiani che abbiamo. Guardi qui, tutti tradotti in far­si: Patrizia Valduga, molto ero­tica, Attilio Bertolucci, Anto­nio Tabucchi, Erri De Luca, Da­cia Maraini, Umberto Eco, Me­lania Mazzucco, Marco Lodo­li, Nicolò Ammaniti, pubblica­to da una casa editrice diretta da una donna molto attiva, Shala Lahigi, e infine Susanna Tamaro, un po’ troppo religio­sa ». Completamente dedicato a Umberto Eco abbiamo trova­to anche un numero della rivi­sta Bokhara , con un’iconogra­fia di un centinaio di foto che persino in Italia sarebbe diffici­le da mettere insieme. «Negli ultimi tre anni - ci racconta l’editore Masud Kasari della casa editrice Ketab-e-Khor­shid, Il libro del sole - il 30 per cento del nostro catalogo l’ab­biamo fatto con autori italiani, da Stefano Benni ad Alessan­dro Baricco. Di quest’ultimo stiamo rivedendo la traduzio­ne di Novecento e Oceano Ma­re , che ripubblichiamo insie­me in un unico volume». In mezzo a tutto questo fermento ci sono pesino italiani che of­frono i loro servizi: «A breve ­ci dice Richard Nava di Dia­cron Group, studio di commer­cialisti internazionali con im­minente filiale anche a Tehe­ran- apriremo un settore dedi­cato alle questioni editoriali, dalla compravendita di diritti al pagamento delle royalties tra Iran e Occidente».