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 2010  luglio 02 Venerdì calendario

TRADISCI SU FACEBOOK? IL DIVORZIO TI ASPETTA

Dietro l’80 per cento dei divorzi in America c’è un messaggio, un video o una foto su Internet. A svelare il devastante impatto del Web sulla vita coniugale è l’«American Academy of Matrimonial Lawyer», che riunisce oltre 2 mila avvocati specializzati nel seguire cause di separazioni: i dati raccolti negli ultimi cinque anni attestano che l’81 per cento di loro è ricorso, o ha dovuto ribattere, a prove provenienti proprio dal Web.
Fra le nuove armi a disposizione dei coniugi in lotta per gli alimenti, le proprietà o l’affidamento dei figli c’è di tutto: i testi delle chat su Facebook e MySpace, un messaggio di poche parole su Twitter, i video su YouTube o semplici legami di «amicizia» registrati su Linkedln. Sul Web c’è una impressionante mole di informazioni private, i giudici oramai le considerano prove come tutte le altre e gli avvocati chiedono spesso ai loro clienti di esaminare con cura messaggi, foto e video della controparte, perché possono contenere l’elemento decisivo per vincere la causa. Il fatto che il 20 per cento degli adulti abbiano un flirt online - secondo un’indagine solta da «Pew Internet» e «American Life Project» - spiega perché la «prova» che si cerca più di altre è quella del tradimento: una frase ammiccate o una foto con l’amante del quale - o della quale - si era finora negata l’esistenza.
Ma la casistica documentata dai legali matrimoniali è sconfinata. Si va dai mariti che si iscrivono al sito «Match.com», dichiarandosi single e senza figli, mentre in aula cercano di ottenere la custodia dei bambini alle madri che negano davanti al giudice di aver mai fumato marijuana, ma hanno messo su Facebook della foto in cui partecipano a festini a base di erba, fino al coniuge che contesta al partner di «non andare mai alle attività scolastiche degli figli» per essere poi smentito dai resoconti di recite e pranzi messi su Facebook e MySpace.
A conti fatti, la principale fonte di prove giuridiche in assoluto è Facebook, citato nel 66 per cento delle cause documentate, con MySpace distante, in seconda posizione, a quota 15 per cento e Twitter al 5 per cento, seguito dagli altri social network con numeri decisamente più bassi. A confermare che è Facebook la trappola online nella quale è più facile cadere c’è l’indagine svolta da Divorce-Online, il sito Internet britannico, secondo il quale su 7 mila richieste di separazione recapitate ben il 20 per cento si origina dal più popolare social network.
Nulla da sorprendersi, dunque, se avvocati come Ken e Leslie Matthews di Denver, in Colorado, suggeriscono ai clienti di «dedicare tempo alla ricerca di informazioni su Internet», perché «è un luogo dove si trovano dati privati che in genere non sono di facile accesso», come nel caso di video amatoriali su Youtube con due amanti assieme in discoteca o sulla spiaggia a dispetto delle dichiarazioni giurate dell’uomo sposato sul fatto di aver interrotto da anni la relazione.
«Oramai le prove raccolte sul Web sono molto comuni nei casi legali - spiega Linda Lea Vinken, presidente dell’"American Academy of Matrimonial Lawyer" - e spesso si rivelano talmente imprevedibili da essere divertenti» e ciò avviene perché «la gente mette di tutto online, su di sé come sugli altri, e non c’è alcun tipo di controllo». Ovvero, la prova decisiva a carico di un coniuge adultero può essere una foto messa casualmente online da un amica dell’amante.
«Questo è il motivo che spiega perché, quando un cliente viene da noi cercando assistenza, la prima cosa che gli chiediamo è di vedere la sua pagina su Facebook, per evitare di fare subito autogol», aggiunge Vinken, secondo la quale c’è anche un altro aspetto del ruolo dei socialnetwork nei processi: «Giudici e giurati, quando vanno a casa, a volte si mettono davanti al computer e - spiega - cercano informazioni sulle parti del processo: può bastare una foto per condizionarli». E i problemi che se ne originano sono numerosi, perché può avvenire che alcune delle informazioni presenti sul Web siano errate o fuorvianti. Come tutelarsi da questi rischi? «C’è solo un modo per farlo, ma nessuno sembra seguito - risponde l’avvocato Matthews -: privacy, privacy, privacy».