Federico Geremicca, La Stampa 2/7/2010, pagina 1, 2 luglio 2010
LA PAZIENZA DEL COLLE STA FINENDO
Un presidente della Repubblica non può dire, a proposito dei suoi rapporti con l’esecutivo, che «adesso la misura è colma». Però può farlo intendere: lasciando anche capire che, per quanto lo riguarda, l’ora dei giochini - e perfino degli inganni - è vicina alla fine. Ed è precisamente questa la via imboccata ieri da Giorgio Napolitano.
Il Presidente è stanco - a proposito della Grande Guerra sulle intercettazioni - di esser più o meno preso in giro (il presidente, naturalmente, non può dirlo così: e ricorre a un più diplomatico «non sono stato ascoltato...»).
E così, l’estenuante braccio di ferro tra presidenza del Consiglio e Colle ha vissuto ieri un’altra giornata aspra: stavolta, come dicevamo, per iniziativa del Quirinale stufo di esser tirato per la giacca da Berlusconi che continua a reclamare un accordo preventivo con la presidenza della Repubblica sulla legge per le intercettazioni, pena l’”andare avanti comunque”. Non è la prima volta che il premier fa sapere di essere in attesa dell’opinione del capo dello Stato sul testo ora in discussione alla Camera (tradotto: quali cambiamenti vanno apportati alla legge per esser certi che poi il presidente della Repubblica la firmi?). E non è la prima volta che gli viene ricordato che la richiesta è inusuale e, soprattutto, non ricevibile dal Colle.
Comunque sia, ieri, ricorrendo alla pazienza residua, Giorgio Napolitano (in visita a Malta) ha ricapitolato quanto al premier è già noto da tempo. Con toni, però, di inusitata durezza.
Stavolta vale la pena di riportare per intero il pensiero del presidente proprio per apprezzarne la perentorietà: «I punti critici della legge approvata dal Senato risultano chiaramente dal dibattito in corso, dal dibattito già svoltosi in Commissione giustizia alla Camera, nonché da molti commenti di studiosi, sia costituzionalisti sia esperti in materia. Ovviamente - ha chiarito Napolitano - quei punti critici sono gli stessi a cui si riferiscono le preoccupazioni della presidenza della Repubblica: e ciò non si è mancato di sottolinearlo anche nei rapporti con esponenti della maggioranza e del governo. Ma non spetta a noi indicare soluzioni da adottare o modifiche da approvare».
Ragionamento non nuovo - come detto - e, comunque, chiarissimo. E affinché non restassero incertezze (più o meno interessate...) ecco la conclusione, non certo rassicurante per l’esecutivo: «Valuteremo obiettivamente se verranno apportate modifiche adeguate alle problematicità e alle criticità di quei punti che sono stati già messi in così grande evidenza. E ci riserveremo una valutazione finale nell’ambito delle nostre prerogative».
Il messaggio, dunque, è inequivoco. Primo: inutile insistere nel cercare accordi preventivi col Quirinale sul testo in discussione, perché non è quello del ”coautore” di leggi il ruolo riservato dalla Costituzione al capo dello Stato. Secondo: quel che va cambiato nel testo, non solo è emerso dalla discussione in Commissione giustizia alla Camera e dal parere di esperti e costituzionalisti, ma è stato per tempo sottolineato dal Quirinale «nei rapporti con esponenti della maggioranza e del governo». Terzo: la presidenza, per rispetto del Parlamento e della Costituzione, valuterà la legge alla sua approvazione, senza pregiudizi ma anche senza sconti.
Poi ci sarebbe un quarto punto, che Giorgio Napolitano non può però esplicitare ma solo lasciar intendere. E il punto in sintesi è: basta con i giochetti e le prese in giro. Berlusconi, infatti, sa da tempo quel che va e quel che non va nella legge; cambi quel che c’è da cambiare, se vuole, oppure vada avanti: ma senza chiedere ”coperture” al Colle. In più, sarebbe ora di interrompere il giochino secondo il quale il governo plaude alle prese di posizione del Quirinale per poi fare tutt’altro. Uno degli ultimi casi - che ha molto infastidito il Colle - è stata la calendarizzazione della legge sulle intercettazioni per fine luglio, dopo che Napolitano aveva suggerito di lasciar campo - prima di tutto - ad una approfondita discussione sulla manovra economica: «Anche senza essere monsignor de Lapalisse è evidente che quel consiglio non è stato ascoltato, nel momento in cui sono state prese determinate decisioni a maggioranza nella conferenza dei capigruppo...».
Questo è quanto ha riservato la giornata di ieri, almeno sul fronte rovente dei rapporti tra Quirinale e palazzo Chigi. In serata Napolitano è rientrato a Roma. E non è detto che oggi non se ne risentano delle belle...