Attilio Barberi, Libero 20/6/2010, 20 giugno 2010
COSTA DI PI SMALTIRE UN MATTONE CHE COMPERARLO NUOVO ALLA FORNACE
Qui la raccolta differenziata non funzionerà mai. Con questa affermazione in passato sono state seppellite le legittime aspirazioni dei cittadini e delle amministrazioni lungimiranti, di vivere in un ambiente pulito, riducendo al contempo i costi della raccolta e del loro smaltimento. A testimoniare che nella realtà di tutti i giorni la sepazione dell’immondizia funziona eccome ci sono le centinaia di comuni che l’hanno adottata negli ultimi ani, partendo da livelli infimi. Ma andiamo con ordine.
Intanto vale la pena di sottolineare che la produzione di rifiuti aumenta costantemente. Negli ultimi trent’anni, è più che raddoppiata: se nel 1980 ognuno di noi contribuiva a produrre 600 grammi al giorno di spazzatura, ora ne genera poco meno di un chilo e mezzo. Il trend dunque è in aumento. Giusto per dare la dimensione del fenomeno, un settentacinquenne, nel corso di tutta la sua vita ha prodotto 40 tonnellate di rifiuti che equivalgono a circa 400 metri cubi di immondizia, sufficienti per riempire due appartamenti di media grandezza (75 metri quadri ciascuno. Se poi distribuissimo l’intero quantitativo su un campo da tennis, otterremmo uno strato di rifiuti alto più di un metro e mezzo.
Tutto questo per dire che gli scarti della vita di tutti noi sono assai copiosi e di tale entità da obbligarci a un approccio rigoroso nella delicata fase della raccolta. Quella indifferenziata costa troppo. Portare una tonnellata di rifiuti in una discarica o in un impianto di incenerimento costa mediamente 130 euro. Basta un dato per tutti: se per acquistare un mattone nuovo spendo 15 centesimi, per smaltire quello stesso mattone (se per esempio si dovesse rompere) nel cassonetto mi costerebbe almeno 20 centesimi. E questo vale per qualsiasi scarto non venga selezionato e avviato alla discarica in maniera indifferenziata.
Dunque la spazzatura va separata per un motivo economico oltre che ambientale. In questa direzione va il Decreto legislativo n. 152 del 2006, altrimenti noto come Codice dell’ambiente che fissa per il 31 dicembre 2012 il termine entro il quale gli enti locali devono differenziare il 65% dei rifiuti raccolti, separandoli fra umidi, secchi, vetro, carta e plastica. In questo momento, la quota di raccolta differenziata raggiunge mediamente il 25%.
A indurre il legislatore a fissare un tetto minimo di raccolta differenziata c’è anche se non soprattutto la questione ambientale. Ogni materiale, anche quello apparentemente più innocuo, in ta-
lune circostanze e in certe quantità, può causare disturbi, sofferenze e danni ed essere quindi considerato pericoloso. Tipico è l’esempio dell’anidride carbonica, sostanza che pur essendo inserita nel ciclo naturale del carbonio, negli enormi quantitativi prodotti dalle attività umane costituisce un rifiuto, con potenziali effetti disastrosi per l’intero ecosistema terrestre.
Un ulteriore elemento che fa considerare rifiuti i sottoprodotti delle attività umane è la loro concentrazione. Per ogni sostanza c’è una soglia oltre la quale la sua presenza nell’ambiente diventa nociva. Ebbene, per alcune sostanze questa soglia è molto bassa, nell’ordine dei millesimi o dei milionesimi di grammo. Queste sostanze, spesso non esistenti in natura, provocano effetti gravi sull’ambiente e sull’uomo anche in piccole concentrazioni e vengono definite ”tossiche e nocive”. il caso per esempio di cadmio, mercurio e piombo.
Tutto ciò per dire che la raccolta differenziata non è un’opzione ma l’obiettivo verso il quale dobbiamo
indirizzarci. Per sfatare il mito da cui siamo partiti (’Qui non funzionerà mai”) bastano e avanzano gli esempi che abbiano raccolto ed elencato nella tabella pubblicata qui sopra. Si tratta di comuni sparsi in tutta Italia, in Liguria, Piemonte, Lombardia, Lazio e Sicilia. In taluni casi la percentuale di partenza della raccolta era trascurabile, come nell’Ambito territoriale Terra dei Fenici, in provincia di Trapani. Ebbene, in questo caso il salto è stato impressionante: dal 5 al 50 per cento. Con punte del 60.
Attilio Barberi
GLI UMBRI PREFERISCONO IL SERVIZIO ”PORTA A PORTA”
«C’è una diffusa sensibilità rispetto alle questioni ambientali, con particolare riferimento al tema dei rifiuti e si rileva una concreta disponibilità da parte dei cittadini a occuparsi del bene comune»: così il professor Tullio Seppilli, ha presentato i risultati di una ricerca condotta in Umbria dalla Fondazione Angelo Celli in collaborazione con l’Arpa (Agenzia di protezione ambientale) dell’Umbria e le tre aziende di servizi che si occupano di smaltimento dei rifiuti: Gesenu, Asm e Vus. Lo studio ha riguardato tre comuni: Bastia Umbra, Spoleto e Terni. In ognuno dei tre contesti sono state fatte, fra il 2008 e il 2009, 53 interviste a cittadini, 10 ad amministratori e dirigenti e 9 a operatori delle aziende, per un totale di 72 interviste. La maggior parte degli intervistati ha dichiarato di fare la
raccolta differenziata. Inoltre, i cittadini individuano si legge nella pubblicazione «chiare responsabilità istituzionali e aziendali nella mancata fornitura di servizi adeguati agli obiettivi richiesti. Mancano le informazioni adeguate per una corretta differenziazione, vi è una insufficiente copertura dei cassonetti per la differenziata e i servizi disponibili nelle aree del proprio domicilio non sono all’altezza delle aspettative delle popolazioni interessate».
La raccolta differenziata «porta a porta» viene indicata da quasi tutti gli intervistati come la «migliore soluzione per risolvere i problemi». Infine, gli intervistati rivendicano l’introduzione di incentivi che sappiano «premiare i virtuosi».