Antonia Susan Byatt, Corriere della Sera 01/07/2010, 1 luglio 2010
I MIEI ROMANZI TRA SENTIMENTO E SINAPSI
Ho sempre creduto che i romanzi, come opere d’arte, non dovrebbero essere delle mere « espressioni di sé», e che dovrebbero andare al di là dei sentimenti e delle relazioni umane e occuparsi anche di altri aspetti. Gli esseri umani, oltre a provare sentimenti, pensano e il mondo del racconto è più interessante se contempla anche il pensiero. Per uno scrittore, la curiosità è una delle principali virtù.
Fin dagli esordi, nelle mie storie c’era la figura del naturalista, un naturalista che inizialmente non si occupava della teoria darwiniana dell’evoluzione del mondo. Studiava ogni sorta di cose’ erpetologia nella giungla amazzonica, le società delle formiche, il comportamento delle farfalle, lo strano modello matematico offerto dalla spirale di Fibonacci, che può definire la forma di una pianta che cresce o del guscio di una chiocciola. Penso che i romanzi dell’Ottocento avessero come impalcatura la descrizione cristiana del mondo e degli esseri umani. Alcuni racconti moderni si sono invece serviti della teoria darwiniana. Balzac utilizzava sia il cristianesimo che la fisiologia e la biologia del suo tempo per costruire delle strutture mentali. Anche la mia tetralogia, che inizia con La vergine nel giardino, comincia con una parata per celebrare l’incoronazione della regina Elisabetta, piena di immagini rinascimentali e si conclude con una conferenza su «corpo emente» in una nuova università. Ne La Torre di Babele, il terzo libro della serie, gli scienziati studiano gli aspetti biologici della memoria. L’edificio mitico della torre di Babele rappresentava la ricerca di una lingua universale e mi sono resa conto che ora una lingua universale l’abbiamo, è quella delle quattro lettere, C,T,A e G del Dna, anch’esso una spirale, o elica. Helix è la parola latina per «chiocciola» e i miei personaggi studiano le chiocciole e i neuroni associati alla memoria nel cervello di questi animali. Le chiocciole sono dei veri
(Traduzione di Maria Sepa) e propri personaggi della storia e fanno parte dell’idea metaforica che ne è alla base.
Nel corso della mia carriera di scrittrice ho scoperto che la gioia del fare associazioni – e la metafora è una delle più intense – è forse la ragione principale dell’arte e dei suoi piaceri. Una volta, sedotta dal poeta William Carlos Williams e dal suo detto «Non ci sono idee se non nelle cose» ho deciso di scrivere un racconto senza metafore, fatto solo di rappresentazioni e descrizioni, privo di linguaggio figurato. Mi sono accorta di non riuscire più a scrivere e ho dovuto rinunciare.
Leggendo lo straordinario resoconto di Jean-Pierre Dupuy sulle riunioni degli anni Cinquanta del gruppo cibernetico, che discuteva di mente e macchina e di cosa significasse essere umani, mi sono imbattuta in una osservazione sui giochi di parole fatta da uno studioso di reti neuronali. Penso fosse Von Neumann, ma non ne sono certa. Forse, diceva quello scienziato, ci piacciono i giochi di parole perché i collegamenti neuronali si eccitano intensamente per il doppio input associato a tutte le informazioni memorizzate, quando due cose o idee vengono arbitrariamente collegate. Forse ci piace questa eccitazione. Ho pensato che le metafore potrebbero nascere dalla stessa eccitazione neuronale – doppio input, associazione rafforzata. Ho scritto un saggio sull’entusiasmo di John Donne per la metafora, cerebrale sensualità. Nel corso della mia vita ho visto utilizzare diverse metafore per l’attività della mente. Quando ero bambina la si paragonava a una centrale telefonica. Successivamente è venuto di moda descrivere il cervello come un computer – anche se i computer erano costruiti da un cervello. Poi ci sono state tutte quelle questioni filosofiche sull’ipotesi che le nostre percezioni fossero osservate da un omuncolo posto all’interno della nostra testa. Non le ho mai capite, perché non ho mai capito che cosa potesse essere o fare questo omuncolo. Negli ultimi anni mi sono imbattuta in descrizioni, puramente teoriche sia sul piano fisico che su quello filosofico, del modo in cui il cervello organizza la mente. Si trovano nelle opere di Jean-Pierre Changeux. Quando descrive le relazioni che intercorrono tra assoni, dendriti, percezione, memoria, concetti e mondo esterno al cervello, mi sembra di leggere la descrizione di quello che ho sempre intuito accadesse, senza riuscire a descriverlo. Jean-Pierre Changeux è interessato a una «grammatica», o algebra, sia biologica che chimica, e al modo in cui le cose che percepiamo sono immagazzinate e combinate dai neuroni per formare «immagini» (che hanno ancora un input sensoriale) e «concetti» che sono realizzati da insiemi rafforzati e stabilizzati di neuroni: immagini e concetti messi in relazione reciproca dalla «potatura» (élagage) dell’input sensoriale e dalle combinazioni prodotte dal modo in cui sono collegati gli oggetti mentali.
Quando lavoro a una trama, la immagino come un oggetto-fantasma tridimensionale costituito da collegamenti colorati e immagini sia reali – chiocciole, formiche – che astratte – triangoli, coni. Allo stesso tempo immagino i ritmi della lingua, sia nell’assieme del libro che nelle sue parti, e poi immagino i personaggi e i loro atti. Come funziona il passaggio mentale dall’immaginare un personaggio attraverso le parole’ sconvolto, soddisfatto, spaventato, affamato – a immaginare la persona nel suo complesso? Quando lavoro penso con tutto il corpo, non solo con il cervello. Sento le dita dei miei personaggi con le mie dita, il loro respiro con il mio. per questo che sono così interessata all’idea di Antonio Damasio che l’intero sistema nervoso sia uno strumento di pensiero e sentimento. Per queste ragioni sono davvero impaziente di parlare con Giacomo Rizzolatti, la cui scoperta dei neuroni specchio affascina lo scrittore che è in me.
Antonia Susan Byatt