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 2010  luglio 01 Giovedì calendario

MORTE DEL REGNO BORBONICO MEGLIO CAPIRE CHE CONDANNARE

Vorrà consentirmi di porle un quesito da cittadino meridionale sul «Re galantuomo» che lei difende («Corriere», 3 giugno) da intellettuale che per nascita e formazione appartiene, magari inconsciamente, alla cultura dominante del Nord Italia. La domanda è questa: perché dovrei considerare «galantuomo» un sovrano che ha invaso la mia terra proditoriamente, si è impadronito delle ricchezze del mio Stato per finanziare lo sviluppo del Nord, ha perseguitato, fucilato senza processo, deportato, impoverito i miei conterranei? Come posso considerare «galantuomo» chi, a cominciare dalla «piemontesizzazione» e per 150 anni fino ad oggi (vedi ad esempio l’uso dei fondi Fas), ha fondato un sistema di potere che subordina il Mezzogiorno agli interessi delle Regioni settentrionali dell’Italia? Che ha fatto per me questo «galantuomo»?
Michele Siano
msiano@tiscali.it
Caro Siano, tutti gli aggettivi e gli appellativi con cui sono stati decorati i nomi dei sovrani (grande, bello, buono, magnifico o, come nel caso di Vittorio Emanuele III, soldato) sono formule retoriche e spesso esagerate o bugiarde. Elisabetta d’Inghilterra, passata alla storia come «the virgin queen», non era vergine ed Enrico il navigatore, re del Portogallo, ebbe certamente il merito di organizzare e finanziare i grandi viaggi dei suoi straordinari marinai, ma lasciò il Portogallo, a quanto pare, soltanto per una spedizione in Marocco. Ho cercato di spiegare le ragioni per cui Vittorio Emanuele II fu definito galantuomo, ma non ho difficoltà a riconoscere che le sue ambizioni furono soprattutto dinastiche e che dette prova in molte occasioni, come tutti i sovrani del suo tempo, di grande spregiudicatezza.
Credo tuttavia che il dibattito meridionale sulle «colpe» storiche dei Savoia, di Cavour e di Garibaldi sia fondamentalmente sbagliato e in molti casi soltanto una sorta di contrappasso per l’insistenza con cui la storiografia risorgimentale ha esaltato la spedizione dei Mille e l’abilità del governo di Torino. Attenzione, non vorrei essere frainteso. Credo che quella dei Mille sia stata una bella pagina di storia nazionale, ma sono convinto che il vero problema storico del 1860 non sia la conquista del Regno meridionale. La questione a cui i meridionali dovrebbero prestare maggiore attenzione è la rapidità del suo collasso. Dovrebbero chiedersi perché un vecchio regno, dotato di buoni corpi militari (l’artiglieria, la Marina) e distinto, soprattutto nel Settecento, da alcuni intellettuali di grande qualità, si sia dissolto nel giro di poche settimane. Occorrerebbe individuare le ragioni storiche e le responsabilità di un evento così improvviso. La buona storia non si scrive per regolare vecchi conti. Si scrive per comprendere le cause di ciò che è accaduto e trarne qualche lezione. Queste osservazioni, caro Siano, non sono riservate ai meridionali. Direi le stesse cose dei veneti che si ostinano a spiegare la morte della Repubblica di Venezia, alla fine del Settecento, come un complotto internazionale.
Credo che le stesse considerazioni valgano per i fondi Fas (Fondi per le aree sottoutilizzate) istituiti dal primo governo Prodi. Conosco le accuse mosse al governo e suppongo che siano almeno parzialmente giustificate (anche se il denaro, in buona parte, è andato al Sud). Ma credo che i meridionali dovrebbero piuttosto interrogarsi sui motivi per cui il Sud, a differenza della Spagna, non sia riuscito a fare un buon uso dei fondi strutturali stanziati da Bruxelles per le aree meno sviluppate della Comunità europea. Rispetto a quella straordinaria occasione mancata i fondi Fas rappresentano un problema, tutto sommato, minore.
Sergio Romano