Giuliana Ferraino, Corriere della Sera 01/07/2010, 1 luglio 2010
LANDER E CANTONI, LE REGOLE DEGLI ALTRI
Il federalismo fiscale Made in Italy? Più «un’etichetta» che una vera riforma della fiscalità, sostiene Gianluigi Bizioli, 38 anni, ricercatore e docente di Diritto tributario all’Università di Bergamo, e autore del libro «Il federalismo fiscale» (Rubbettino).
Nel suo libro analizza l’esperienza dei Paesi che hanno adottato il federalismo fiscale. Quali sono i principali modelli?
«Ci sono due modelli di federalismo fiscale vero. Il primo è quello di tipo americano o svizzero. In questo modello convivono due livelli indipendenti di tassazione: federale e statale. Gli Stati o i Cantoni dal punto di vista fiscale sono liberi, fatto salva l’imposizione federale. E questo può essere una leva per la competizione fra i vari Stati e i Cantoni. Ad esempio, il Delaware ha azzerato le imposte societarie per attrarre le aziende, che vi hanno trasferito in massa la sede legale. Ma lo stesso accade in Svizzera, dove moltissimi manager hanno la residenza nel Cantone di Obwalden, perché ha un’imposta sui redditi del 13,1% totale». Qual è l’altro modello? «E’ un modello di tipo cooperativo, e trova la massima espressione in Germania: l’imposizione sul reddito è uguale in tutti i Länder, ma è diversa la distribuzione delle risorse. Qui le imposte riscosse vengono distribuite in base alla capacità fiscale del territorio, cioè la ricchezza prodotta. Perciò la Baviera, che è il Land più ricco, riceve più di tutti. Ma i Länder hanno poca capacità impositiva, potendo incidere solo su un’imposta assimilabile alla nostra Irap».
Che conseguenze hanno i due modelli sui rispettivi contribuenti?
«C’è una differenza sostanziale: nel modello americano/svizzero il cittadino contribuisce in modo diverso a seconda della residenza, e riceve servizi variabili da Stato a Stato. Nel modello tedesco tutti pagano le stesse imposte, ma ricevono servizi a seconda del Land. Nel caso tedesco perciò c’è un problema Est-Ovest».
Quale esperienza è più soddisfacente?
«Bisogna vedere qual è l’obiettivo che si vuole raggiungere. Se siamo disposti ad avere livelli di servizi fortemente differenziati, il sistema americano può funzionare. Qui non c’è un sistema di prestazioni assicurato, e comincerà in parte solo ora con la riforma sanitaria Obama. E’ il modello legato a sistemi a bassa imposizione. Ma noi non potremmo adottarlo nemmeno volendo, perché l’articolo 117 della Costituzione assicura a tutti un livello essenziale delle prestazioni sociali. Perciò siamo inevitabilmente legati a un sistema che intervenga in funzione perequativa, più vicino al sistema tedesco. Ma il nostro è un modello sbiadito di quello tedesco». Perché? «Perché non siamo uno Stato federale. Negli Stati federali, tranne in Canada, c’è un centro istituzionale rappresentativo degli interessi regionali. Ad esempio, in Germania è il Bundesrat, in Usa il Senato. Questo sistema di garanzia invece non esiste nel nostro sistema e non esisterà nemmeno dopo l’attuazione del federalismo fiscale. E l’unica arma che hanno le Regioni per contrastare le decisioni del governo è la moral suasion».
Quali saranno le conseguenze del nostro modello di federalismo fiscale su servizi essenziali come sanità, assistenza e istruzione?
«L’obiettivo fondamentale della legge delega è di razionalizzare la spesa di Regioni ed Enti locali, per cui la vera rivoluzione che compie non riguarda le entrate, ma le spese. Questi enti non verranno più finanziati per quanto effettivamente spendono ma in base a un fabbisogno standard stabilito dallo Stato».
Ma se il fabbisogno è standard che federalismo è?
«E’ la contraddizione più evidente. Diciamo che c’è poco di federalismo emolto di razionalizzazione. Credo che l’espressione federalismo fiscale sia solo un’etichetta. Di fatto è una grande operazione di contenimento di spesa pubblica locale, con pochi strumenti di imposizione alle Regioni. L’idea è di responsabilizzarle: io ti do 100 ma se spendi 150 devi aumentare le tasse sui tuoi residenti».
Con quali strumenti?
«Oggi sono tre: i tributi propri derivati, come l’Irap, regolati dallo Stato, e le addizionali. Inoltre le Regioni avranno tributi propri in senso stretto, con cui potranno istituire e riscuotere imposte. E’ una novità, però, non potranno imporre tributi su fatti economici già tassati dallo Stato».
Cioè già tutto.
«Esatto. Resteranno i tributi sulle funzioni che la Regione esercita. Quindi sulla sanità, la scuola, l’assistenza sociale e trasporti».
Giuliana Ferraino