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 2010  luglio 07 Mercoledì calendario

Sono un’insegnante e vorrei rispondere a Jo, che nel n. 25 sfoga la sua amarezza per la bocciatura della figlia

Sono un’insegnante e vorrei rispondere a Jo, che nel n. 25 sfoga la sua amarezza per la bocciatura della figlia. «Nessuno di loro (i professori) ha cercato di capire che cosa si nascondesse dietro quel numero», dice la signora, anch’ella insegnante. Cara Jo, non è vero. Lei da insegnante saprà che si cerca sempre di capire che cosa c’è dietro un’interrogazione andata male o un compito sbagliato: a volte un dramma, molto spesso un metodo di studio inadeguato o uno scarso impegno. Altre volte capita che dietro un compito andato benissimo ci siano una famiglia sbandata, una vita di miseria e sofferenza. Potrei raccontarle di una ragazzina romena che non ha potuto comprarsi neanche un libro (gli immigrati senza permesso non hanno diritto al buono libri) ma che ha appena superato l’esame con 9; di un ragazzo cinese (si ha idea di che cosa voglia dire per un cinese imparare in pochi mesi l’italiano?) che in prima superiore farà il salto perché è troppo avanti. Non dico questo per portare a Jo esempi di alunni che hanno avuto successi a fronte di difficoltà a prima vista un po’ più grandi del voltafaccia di un’amica; so bene che tutto sta a come si vivono queste difficoltà. Forse chi è abituato fin da piccolo a scontrarsi coi problemi della vita è un po’ più preparato ad affrontare quelli della scuola, anzi, il più delle volte non li vive neanche come problemi, ma come momenti privilegiati. Nessun genitore di questi ragazzini è mai venuto a lamentarsi per i troppi compiti, anzi, la madre di una bambina ucraina, da poco arrivata e già prima della classe, venne a chiedermi se potevo assegnare qualche compito in più: «Perché da noi la scuola è come posto di la- voro», disse, «ma lavoro duro». I0 credo che oggi i genitori entrino troppo nella vita scolastica dei figli e che, così facendo, li aiutino poco a entrare in quella extrascolastica. Quando io andavo a scuola, i miei si limitavano a chiedere del rendimento, e se avevano cattive notizie erano guai. Aspettavamo i quadri conl’incubo dei voti in rosso (riparazione, estate a studiare) o della bocciatura. Il numero dei respinti (questo era il termine, alla faccia del politicamente corretto!) era molto più elevato, quindi i poveracci non si sentivano soli. Come mai tanti bocciati? Forse perché nessun preside aveva paura di un ricorso? A me è appena capitato un commissario di esame di III media che ci ha obbligato a promuovere una ragazza, anche se aveva collocalo la Shoah nel 1833, non sapeva che nel 1942 era in atto la seconda guerra mondiale e pensava che, durante la stessa, l’Italia com- battesse contro la Germania. Che cosa ne pensa lei, Direttore, in quanto figlio di Prof? ADRIANA