Jennifer Melletti, la Repubblica 27/06/2010; Andrea Tarquini, la Repubblica 27/06/2010, 27 giugno 2010
[due articoli, operaio a Pomigliano e Tychy] Anche oggi la tuta grigia e bianca resta piegata su una seggiola
[due articoli, operaio a Pomigliano e Tychy] Anche oggi la tuta grigia e bianca resta piegata su una seggiola. «Ventidue mesi di cassa integrazione. Da quasi due anni andiamo a lavorare una settimana al mese. E adesso, questa battaglia che ci ha mandato su tutti i giornali…». Claudio Arturo Millocca, 31 anni, sposato, due figlie di 8 e 14 anni, è uno dei 5.200 operai di Pomigliano. «E sono orgoglioso di esserlo. Ma non è più come un tempo, quando in fabbrica c´erano i nostri genitori, gli operai erano l´aristocrazia e volevano cambiare il mondo. Io sono orgoglioso di me stesso: lavoro bene e mi guadagno lo stipendio. Un lavoro di fino, in quello che chiamiamo "l´ospedale delle verniciatura". Togli le imperfezioni, con una macchinetta ad acqua che elimina i "brufoli". Le Alfa che costruiamo costano 30.000 euro, debbono essere perfette». Dieci anni e quaranta giorni nella più grande fabbrica del Sud. «Lo so bene, si chiama Giambattista Vico, ma solo qualche impiegato la chiama così. Per tanti, noi siamo quelli della Fiat e basta, i più anziani ci chiamano "quelli dell´Alfa sud". Io e quelli della mia generazione diciamo: "Andiamo al lavoro", e basta. Cinque anni al montaggio, cinque in verniciatura. All´inizio, in montaggio, facevo le porte delle Alfa 145 e 146, poi la 156. Montavo i cristalli, le guarnizioni… In verniciatura sto bene, anche perché nel nostro "ospedale" non ci sono polveri, fumo, puzza. E soprattutto c´è la soddisfazione di lavorare cercando la perfezione. I guai e la sbadataggine del passato? Allora l´Alfa era statale, quando sono arrivato io c´era già la Fiat». Sveglia alle 5, quando c´è il primo turno, dalle 6 alle 14. «Io mi metto la tuta già a casa, i miei abiti li metto in una borsa per cambiarmi quando esco. Su otto ore, il nostro corpo lavora per 6 ore e 50 minuti. Ci sono due pause di 15 minuti - il tempo per un caffè e per andare in bagno - e una di 10. Poi il pranzo in mensa dalle 11 alle 11,30, due euro di spesa e mangi abbastanza bene. Alle 14 esci dal reparto (inizia il secondo turno che arriva alle 22) e vai a fare la doccia. Hai mezz´ora di tempo per uscire dallo stabilimento. Lo stipendio era buono, quando si lavorava: con gli assegni familiari per le figlie e l´anzianità arrivavo a 1.400 euro. Ora, con la cassa integrazione, si va dai 900 ai 1000 euro al mese, assegni compresi. Dipende da quanti giorni riesci a lavorare». Claudio Millocca, iscritto alla Fim-Cisl, ha votato sì al referendum. «Mi sono iscritto alla Cisl perché ho incontrato un delegato di reparto, Pasquale Amendola, che nei primi mesi mi è stato molto vicino e mi ha dato i giusti consigli. Credo alle persone, più che alle sigle. Anche noi, come gli operai di un tempo, vorremmo cambiare il mondo. Ma dobbiamo guardare in faccia la realtà. I diritti dei lavoratori sono sotto attacco e noi non siamo certo felici. Ma poi ti guardi intorno e scopri che altri lavoratori sono stati lasciati a casa e nessuno ha parlato di loro perché non fanno parte di una realtà industriale forte come la Fiat. Parli con i tuoi amici e scopri che fanno gli idraulici, i muratori, i pizzaioli in nero, lavorano 12 ore al giorno solo quando sono chiamati e non hanno né ferie né contributi». L´operaio polacco, secondo la Fiat così bravo e così produttivo, sta diventando un incubo. «Ma come si fa a fare confronti? La situazione non è uguale nemmeno fra Nord e Sud dell´Italia. Ai 1000 euro della cassa devo togliere 300 euro d´affitto, e con 700 euro dobbiamo vivere in quattro. Lusso è una parola di cui non conosciamo il significato. Risparmiare qualcosa, soprattutto adesso, è impossibile. Per fortuna qui c´è la cultura della famiglia, i genitori si svenano per aiutare i figli. Al Nord, con gli affitti e i prezzi che ci sono, e senza quella solidarietà familiare, già sarei in miseria. Non posso fare confronti con lo stipendio polacco. Bisognerebbe sapere come riesce a vivere con il suo salario, cosa riesce a comprare. Io so che quando avevo la busta paga normale, una volta al mese si andava in pizzeria e adesso nemmeno quello. Le vacanze le fanno le figlie solo perché i miei genitori abitano al mare. In dieci anni, come famiglia, non siamo mai andati in vacanza. Adesso è già un´impresa mettere assieme un piatto di pasta a mezzogiorno e un secondo, con pollo o maiale, alla sera. Comunque, c´è anche un lato positivo: qui devi essere bravo a crescere i figli. Spieghi loro che invece di tre paia di scarpe ne basta uno e che deve anche durare. E quando chiedono qualcosa, anche piccola, la risposta è sempre la stessa: adesso non possiamo, speriamo domani». Anche dopo il referendum il futuro non sarà facile. «Ci hanno già detto che a luglio faremo lo "svuotamento": finiremo cioè tutte le vetture presenti in fabbrica. Poi per un anno ci saranno i lavori per costruire i nuovi impianti e noi faremo i corsi di formazione per le nuove catene di montaggio. Dovremo andare a scuola in fabbrica, a nostre spese, con la sola cassa integrazione. Io sono fortunato, abito a Casalnuovo, dieci minuti di auto. Ma c´è chi arriva da Salerno, Benevento, Avellino. E poi dovremo abituarci all´idea di un lavoro diverso. Fino ad oggi abbiamo costruito le Alfa con i sedili in pelle, motori potenti e tutto il resto. Ci hanno detto che dovremo montare le Panda, che rispetto all´Alfa è tutt´altra macchina. Ma ora tutto è incerto». Cambia in fretta, il mondo delle fabbriche. «Dieci anni fa, quando "quelli dell´Alfa sud" già erano un ricordo, io che entravo in azienda ero poco invidiato. Si sapeva che con l´arrivo della Fiat i ritmi e il clima erano cambiati. Qualcuno che avrebbe potuto entrare ha scelto altre strade. Ma proprio adesso che la classe operaia sta toccando il fondo, che dobbiamo difendere con i denti il nostro posto di lavoro, l´invidia è tornata, anche se tutti sanno che siamo quasi sempre in cassa integrazione. Questo perché attorno a noi c´è il deserto e un giorno dopo l´altro trovi chiusi i cancelli di tante altre aziende. E allora non possiamo fare altro che resistere, sapendo che la bufera non passerà tanto presto. A farti forza è l´orgoglio di un lavoro fatto bene. La indossi volentieri, la tuta, ancora prima dell´alba. Sperando che fra un anno, quando andremo a produrre le Panda o altre vetture, i cancelli restino aperti tutto il mese. Non ci si sente bene, a fare l´operaio una settimana al mese». ******* «Benvenuti, ecco la nostra casa. Mi chiamo Anna, lavoro in Fiat da sette anni». Gentile e vivace, la signora dai capelli argentati operaia di Fiat Auto Poland. «Scusate il disordine, ho fatto il turno di notte, mi sono appena tolta la tuta blu e stasera l´indosserò di nuovo. Mia figlia Dominika, 13 anni, ha la festa per la fine dell´anno scolastico. Sono tornata alle 7 dalla fabbrica, ho aiutato mia figlia a vestirsi e truccarsi, avviato la lavatrice, poi la cerimonia a scuola, poi cucinerò, farò le pulizie, e alle 22 si ricomincia. Tante ore senza sonno, pazienza. Soldi in più in busta paga. Se sono felice? Mi fa felice la famiglia. E anche il lavoro: è duro, ma mi piace. Abbiamo solo paura del futuro, dei tagli. Non voglio neppure pensare a dire addio alla Panda. Per noi quell´auto vuol dire futuro». Anna Kolodynska ha trentacinque anni, segnati dallo stress della catena di montaggio. Sorride energica e cortese, con la dignità di chi ha passato momenti difficili mentre ci riceve nel piccolo e decoroso appartamento. Carta da parati messa di fresco, mobili vecchiotti, tetto da riparare. Ma tutto pulitissimo e in ordine, come nelle case degli operai della ricostruzione nella Germania di Adenauer. Robert Kolodynski, suo marito, ha due anni più di lei, e a Fiat Auto Poland è un veterano. Dominika, la figlia tredicenne, ama il karaoke e sogna di diventare attrice. Il piccolo Kuba, che di anni ne ha nove, gioca con la playstation. Mentre Edek, il cagnolino di famiglia, abbaia senza sosta. Eccoci nella Fiat city polacca. Tychy, centotrentamila abitanti, palazzoni grigi dell´era comunista, appena due cinema e tante pizzerie. Troppo poco per i giovani. Molti emigrano a Varsavia o nelle altre città esplose nella Polonia del boom sudcoreano-cinese. Oppure in Irlanda, in Germania, nel Regno Unito. «Sotto il vecchio regime qui erano tutti minatori, come mio padre». Lavoro ben pagato ma brutale, come racconta L´uomo di marmo di Andrzej Wajda. «Quando mia mamma è morta, papà ci ha lasciato questa casa popolare, la stessa in cui abitavano loro. Ora vorremmo comprarla, ma stiamo trattando sul prezzo con l´istituto che gestisce il patrimonio immobiliare pubblico». Il salario medio qui è di 2000 zloty al mese (circa 485 euro). Ma operai qualificati come Anna e Robert, tra scatti, turni di notte e straordinari arrivano a 2800-3200 zloty (680-775 euro). Per comprare una casa popolare bisogna trattare, il prezzo di mercato sarebbe 140mila zloty (34mila euro), e poi fissare gli interessi per il mutuo. «La stiamo rimettendo a posto poco a poco, abbiamo cominciato dai pavimenti e dalle pareti». Squilla il telefono, è Robert, un saluto veloce dalla fabbrica. «Ci dividiamo i turni, mettendo insieme i notturni e i festivi. Quando uno torna l´altro si prepara ad andare. Ma facciamo in modo che ci sia sempre qualcuno di noi in casa, per i bambini». Il lavoro. « duro, certo. Ho problemi ai tendini e al cuore, e devo stare attenta. Ma l´azienda ha un suo ospedale e la gente ci guarda come fossimo privilegiati. Qui le miniere chiudono, e muoiono in silenzio. E i politici sono lontani. Kaczynski è venuto giusto prima delle elezioni». Passato e presente si mescolano nel racconto di Anna, mentre Dominika prova allo specchio la camicetta bianca della festa e ascolta rock su Mtv. «Durante il comunismo tutto era diverso. La fabbrica in cui lavoravo era sporca e la Fiat, quando arrivò, pareva un faro nella nebbia: organizzava corsi di formazione professionale, metteva a disposizione alcuni appartamenti. Ora non lo fa più, ma abbiamo le ferie pagate e abbastanza per poter vivere, non ci possiamo lamentare. Ma non ci possiamo neppure permettere qualche lusso». Mp3 players e dolci per Dominika e Kuba a Natale, «e al massimo qualche serata in pizzeria. A volte mio marito si diverte a cucinare hamburger o stufati, ma forse lo fa solo perché quando ci siamo conosciuti gli dicevo sempre che non ne era capace. Mi sedusse una sera in discoteca, sorridendomi. Lavorava già in Fiat, io invece facevo l´operaia in un postaccio a 700 zloty al mese (170 euro). Per anni ho montato fari e radiatori, ora testo le auto appena uscite di fabbrica: mi piace guidare....». Stringere i denti e sorridere, andare avanti in nome della famiglia, sperando nel futuro. A Tychy tira quest´aria. «Sulle ferie decidiamo al momento: l´anno scorso siamo stati sulla costa baltica, ma quando bisogna stringere la cinghia ci limitiamo a qualche gita sulle montagne del sud, oppure in un parco-divertimenti, per i bambini. Loro, comunque, in vacanza ci vanno sempre: sul mar Baltico, in colonia, e Fiat paga metà del viaggio. Vacanze all´estero? No, non ce le possiamo permettere, ma viviamo ogni momento libero da famiglia unita». Risparmiano su tutto, Anna, Robert e gli altri "Fiat people" di Tychy. Lo fanno senza protestare. La memoria dei decenni bui, le granate degli Zomo, i reparti speciali del vecchio regime, lanciate a far strage nei pozzi dei minatori in sciopero, sono ancora davanti agli occhi anche tra i giovani che lasciano Tychy per sempre e a Varsavia, Berlino, Dublino o Londra cercano oggi una nuova vita. «No, nessuno sconto per comprare un´auto Fiat, neppure per quelle usate. Così ci teniamo la nostra Volkswagen Jetta vecchia di diciott´anni, ma cammina ancora. Robert va al lavoro facendo car-sharing con i compagni della catena di montaggio, usano le auto a turno per consumarle meno. Io prendo l´autobus aziendale». Lo spettro è quello dei licenziamenti. «Qui tutti ne hanno paura. La disoccupazione tra noi donne è molto alta, mia sorella si arrangia facendo la parrucchiera a domicilio, altre amiche hanno solo lavoretti da 700 zloty al mese». Verso gli italiani, nessun risentimento. «I più anziani tra noi ricordano quando la fabbrica aprì, e gli italiani vennero da Torino per addestrarci. Oggi i figli dei dipendenti possono partecipare anche a dei viaggi in Italia, e Dominika già sogna quel momento». Sciopero qui è una parola che evoca il mondo di ieri, Solidarnosc, non il presente. «Sentiamo dire che da voi si sciopera per le partite dei mondiali, e non so se sia vero. Ma so che da quando sono in Fiat abbiamo fermato il lavoro una volta sola. Per un minuto, quando morì il Papa». (ha collaborato Jan Gebert)