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 2010  luglio 01 Giovedì calendario

IL CALCIOMERCATO (2

articoli) -
Kenneth William Bates non è un’invenzione letteraria. Lui è quello che comprò il Chelsea per una sterlina e oggi risiede nel Principato di Monaco. lì in fu­gg ga dopo aver beffato le casse di Sua Maestà per milioni di sterl­i­ne con un permesso del governo britannico che gli consente di mettere un piede in patria al mas­simo per 90 giorni l’anno. Non fosse altro per andare a godersi qualche partita di football. L’ot­tuagenario Ken Bates, oggi presi­dente della Leeds United Foot­ball Club Limited e del Leeds United A.F.C, ha sempre avuto una gran passione per il calcio, ma neppure lui poteva immagi­nare l’inimmaginabile. Cacciato dai Queen Park Rangers che gli rifiutarono addirittura l’iscrizio­ne, Bates fece fortuna prima nei trasporti poi nel settore delle ca­ve e in quello farmaceutico. Alti e bassi. Quando ha fondato la Irish Trust Bank è diventato il tro­feo più ambito di migliaia di cre­ditori che lo avevano sostituito al­la volpe. Prima che la sua carrie­ra di dirigente nel mondo calcisti­co decollasse, nel giro di cinque anni venne eletto presidente del­l’Oldham Athletic e poi del Wigan Athletic. Poi un giorno è arrivato il Chelsea in crisi econo­mica e debiti pesanti, Bates gli piombò sopra come uno sparvie­ro. Senza fretta ha risolto il pro­blema di Stamford Bridge, il tem­pio del club, poi ha costruito il Chelsea più vincente della sto­ria, prima di lasciarlo con una vo­r­agine di oltre 80 milioni di sterli­ne. Bates è considerato ancora oggi una delle figure più com­plesse del calcio britannico, un innovatore talmente spudorato da mettere i brividi e nonostante questo membro per un lungo pe­r­iodo della Football Association.
Dopo aver pagato una sola sterli­na il più aristocratico club ingle­se di football, Bates per 17 milio­n­i loha ceduto a Roman Abramo­vich. La mamma di tutte le plu­svalenze. E Abramovich mai sa­rebbe diventato presidente del Chelsea senza Pinhas Zahavi, un ex giornalista israeliano oggi ritenuto il principale broker di af­fari calcistici globali.
Un sistema popolato da un’umanità straordinaria.Il bel­gradese Z­oran Vekic ha sotto pro­cura un numero talmente eleva­to di giocatori che non può ricor­darseli tutti.
Eppure non gli sfug­ge nulla, è stato lui a rivelare che il bacio di Guti non era a una mi­­steriosa amante ma alla sorella, cura i minimi particolari e quan­d­o interviene non lo fa mai a vuo­to. Josè Maria Mesalles è un di­plomatico che avrebbe fatto car­riera anche in Vietnam, se Eto’o all’Inter è stato un trionfo,si deve alla sua arte persuasiva nel con­vincere il camerunense. Nella Romania dello sconnesso post Ceausescu i Becali sono il clan più potente, ma Pinhas Zahavi ha un altro passo.
Secondo il Times , attraverso la sua amicizia con gli ex oligarchi russi, Zahavi avrebbe portato una mutazione genetica nella fo­otball economy mondiale. Tele­visione, diritti, sponsor, eventi, Zahavi si occupa di tutto, recen­temente il tabloid The People ha pubblicato la notizia con tanto di documentazione di una sua di­retta partecipazione nell’acqui­sto dell’indebitatissimo Man­chester United con l’offerta di un milione di sterline alla famiglia Glazer. Una cordata di busines­sman stranieri per convincere gli americani a cedere il più bla­sonato club inglese. Zahavi, che ha la procura di Rio Ferdinand, è uno di quei personaggi che si muovono all’ombra del calcio, ma poi irrompono ed esplodo­no, uno che sa scegliere gli ami­ci, per esempio Kia Joorabchian, uno dei personaggi più discussi e temuti nel mondo del calcio. Curiosa la sua fama, è ufficial­mente evitato dai presidenti di calcio, in effetti è in continua trat­tativa con tutti, si sente quotidia­namente co­n i loro direttori spor­tivi e tesse operazioni di mercato che lo arricchiscono a dismisu­ra. Il giornale brasiliano Jornal uscì un giorno con la notizia che Joorabchian aveva collaborato per la campagna acquisti del San­tos e fu scandalo: un iraniano di origini armene dietro le mosse di mercato dell’ex squadra di Pelè. Immediata è arrivata la smentita del presidente Luis Al­varo de Oliveira Ribeiro: «Il San­tos non ha mai fatto affari con Kia». Tutti temono che si sappia in giro di aver a che fare con lui. il proprietario del cartellino di Carlitos Tevez attraverso la Msi, misterioso fondo di investimen­ti con sede legale alle isole Cay­man: affitta Tevez a un club e al termine del contratto ne torna padrona, un sistema che ha già tracciato una tambureggiante nuova via. E a nessun presidente interessa sapere che Kia Joorab­chian è stato indagato in passato per riciclaggio internazionale. Quando prese il Corinthians lo ri­ciclò in un club di transito in cui i calciatori venivano acquistati e subito dopo rivenduti con plu­svalenze atomiche, andò avanti così fino a quando le autorità bra­siliane accertarono un legame fra la Msi e gli oligarchi russi, un’inchiesta tuttora aperta.L’al­tro da tenere d’occhio è Jorge Mendes,l’agente Fifa più poten­te del mondo: Cristiano Ronal­do, Mourinho, Felipe Scolari, Di Maria, Carvalho, Hilario, Deco, Quaresima, Timao, Thiago Sil­va, Pepe, sono solo alcuni dei suoi assistiti, ha valorizzato il cal­cio portoghese esportandone i talenti e partendo da un piccolo prestito di 5mila euro per gestire una discoteca sull’oceano fre­quentata da calciatori. E quando ricevette la prima offerta per en­tr­are in un piccolo club non chie­se soldi ma la possibilità di gesti­re la cartellonistica del club. La sua fortuna. Raffinato, amante del lusso, adora vestire elegante, Gucci, Prada, Dolce e Gabbana, spende circa 10mila euro al me­se in telefonate, viaggia in aereo privato, fa colazione in Europa, pranza in Africa, in serata è in Su­damerica. Un ex cavatore, un israeliano, un iraniano di origini armene, un ex discotecaro, sono loro i padroni del calcio, i mer­canti che fiutano e arrivano pri­ma degli altri. Da oggi comun­que si possono depositare i nuo­vi contratti, apre ufficialmente il mercato, non c’è un posto, c’è stata una mutazione genetica ge­nerata da una sterlina ma l’affare si può ancora concludere in trat­t­oria, da oggi fino al 31 agosto.
Claudio De Carli

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Il terzino del Manchester Uni­ted Gary Neville è stato uno dei pri­mi ad aprire il fuoco contro di loro. «Let’s kick’em out», disse il 16 febbra­io 2007. Cacciamoli fuori. Il bersa­glio erano i procuratori, i nuovi pa­dro­ni di un calcio consegnatosi sen­za colpo ferire nelle mani delle televi­sioni.
 un universo sfaccettato e complesso quello degli agenti di cal­cio; c’è il professionista serio, il fac­cendiere, l’esibizionista, il tessitore occulto, l’amico degli amici. Un mondo intricato che gravita attorno a quella gallina dalle uova d’oro che è diventato il calcio dalla metà degli anni Novanta. Un mondo spesso oscuro, poco decifrabile dai non ad­detti ai lavori, che trae vantaggio dal pressoché completo vuoto normati­vo della materia. questa la molla che ha spinto la Commissione Euro­pea, all’inizio dello scorso anno, ad aprire un’inchiesta sui procuratori sportivi all’interno della UE. Chi So­no? Quanti sono? Quanto guadagna­no? Le risposte sono contenute in un dossier di 300 pagine che gli uomi­ni di Bruxelles hanno appena reso pubblico. Con risultati sconcertanti. Nei soli paesi dell’Unione Euro­pea il numero dei procuratori sporti­vi legalmente riconosciuti (ovvero in possesso di regolare licenza Fifa) ammonta a 3.575, dei quali quasi tre­mila sono attivi nel mondo del cal­cio. Francia e Inghilterra primeggia­no nel numero di agenti dei cosiddet­ti ’altri sport’ (rispettivamente 187 e 131), mentre riguardo al calcio la pal­ma d’oro spetta all’Italia, che di pro­curatori ne annovera ben 563, per una media di un agente ogni sei gio­catori (considerati quelli dalla Serie A alla Seconda Divisione di Lega Pro). Tanti procuratori, scarsissimo spirito corporativo; in Italia l’89% de­gli agenti possiede una propria socie­tà. In Inghilterra la cifra si abbassa al 70%, in Germania al 19%, in Spagna addirittura all’8%. In totale nell’inte­ra comunità eu­ropea meno di un ter­zo dei procuratori è affiliata ad un’as­sociazione di agenti. Un capitolo a parte lo meritano invece gli agenti senza licenza; la Commissione Euro­pea ne ha stimati 837, alcuni dei qua­li operanti nel calcio di altissimo li­vello. Ne è un esempio il caso di John Terry.
L’azienda calcio è una macchina da soldi. 200 milioni di euro è la cifra, stimata per difetto dalla Commissio­ne Europea, che finisce ogni anno nelle tasche dei procuratori, con o senza licenza. L’indiscusso leader del mercato è il portoghese Jorge Mendes, il procuratore di Josè Mou­rinho, Cristiano Ronaldo e Deco. La sua azienda, la Gestifute, possiede un valore di mercato stimato attor­no ai 435 milioni di euro. Ogni area geografica ha il suo padrone: in Spa­gna c’è Gines Carnaval; in Inghilter­ra ( ma anche in Russia ed Ucraina) il controverso Pini Zahavi; in Germa­nia Roger Wittman; in Argentina Fer­nando Hidalgo; in Uruguay Franci­sco ’ Paco’ Casal; nell’Europa centra­le gli austriaci della Stars & Friends GmbH; in Scandinavia Karsten Aa­brink, che conduce anche un pro­gramma sportivo alla domenica se­ra sull’emittente TV3. Quando si di­ce non farsi mancare niente dalla vi­ta.
Cosa c’è alla base della sproporzio­n­e numerica tra i procuratori calcisti­ci e quelli degli altri sport? La rispo­sta è fin troppo semplice: gli introiti. Il salario di uno dei primi varia da un minimo di 13.000 ad un massimo di 3.750.000 euro, per una media di 1.881.500 euro all’anno. Ovvero quattro volte tanto quella di un agen­te del basket NBA (410.000), cinque volte quella di uno dell’automobili­smo ( 325.000), ben dieci volte quella di uno del ciclismo (184.000) e del tennis (172.500). Solo i procuratori della boxe negli Stati Uniti si avvici­nano ai colleghi del dorato mondo pallonaro grazie ad un guadagno medio di 1.022.500. Dal punto di vi­sta dei guadagni minimi però solo l’atletica (6.000) è inferiore al calcio (i già citati 13.000); un segno della concorrenza feroce e del livello di sa­turazione dell’ambiente.
«Il potere sempre crescente acqui­sito dai procuratori», commenta Thomas Lindrup, presidente dell’As­sociazione Calciatori danese, «non è imputabile solo alle cattive politi­che gestionali di molti club, ma an­che agli stessi giocatori. Molti dei quali, troppo giovani o semplice­mente troppo pigri, tendono a dele­gare ogni aspetto della loro vita pro­fessionale ad un’altra persona. Ben vengano pertanto le azioni intrapre­se da Bruxelles». L’obiettivo dell’in­c­hiesta condotta dalla Comunità Eu­ropea è quello di costituire una base di partenza per una regolamentazio­ne del settore, già auspicata dalla ECA (European Clubs Association) e da numerosi addetti ai lavori. Nien­te cacciata dei mercanti dal tempio, come si augurava il buon Neville; so­lo un po’ di salutare pulizia nella giungla del pallone.
Alec Cordolcini