La Stampa 1/7/2010, pagina 44, 1 luglio 2010
LETTERE
Dopo Ronnie Lee Gardner altri quattro condannati a morte hanno scelto la fucilazione nello Utah. L’iniezione letale, che passa per essere il metodo più civile (ma la condanna a morte non è certo cosa da paesi civili) vuol dire iniettare nel sangue del condannato un misto di barbiturici, agenti chimici paralizzanti e rilassanti. Non sempre la cosa è indolore, anzi tutt’altro: il cuore può continuare a battere fino a quindici minuti dopo.
Fucilazione significa che cinque tiratori scelti sparano al cuore: uno dei fucili è caricato a salve ma la morte è istantanea, dunque la più indolore che si possa immaginare. Essere fucilati significa morire come da sempre nella storia e nelle guerre sono stati «giustiziati» gli uomini ritenuti colpevoli: colpiti al cuore, non avvelenati come una cavia da laboratorio o fritti su una sedia con l’alta tensione. Vuol dire scegliere almeno di morire con grande dignità. Un’ultima scelta che dovrebbe sempre essere concessa (ma non è così).
MAURO LUPOLI MILANO