G.RUO., La Stampa 1/7/2010, pagina 8, 1 luglio 2010
PISANU: NEL ”92 CI FU LA TRATTATIVA TRA STATO E MAFIA
«E’ dunque ragionevole ipotizzare che nella stagione dei grandi delitti e delle stragi si sia verificata una convergenza di interessi tra Cosa Nostra, altre organizzazioni criminali, logge massoniche segrete, pezzi deviati delle istituzioni, mondo degli affari e della politica».
E’ un pezzo della relazione dell’Antimafia di Beppe Pisanu sulle stragi el ”92 e ”93. Pisanu sposa le ipotesi investigative delle procure di Caltanissetta, Palermo e Firenze che indagano su quella stagione. E sulla trattativa nata all’indomani della strage Falcone, Pisanu arriva a sostenere: «Probabilmente Provenzano fu assieme a Ciancimino tra i protagonisti di trattative del genere, mentre Riina ne fu, almeno in parte, la posta».
Trentacinque pagine. Un affresco noir di un pezzo di storia italiana che si sviluppa a partire dal fallito attentato all’Addaura contro Giovanni Falcone, 21 giugno 1989, e si conclude cinque anni dopo, il 23 gennaio del 1994, con il fallito attentato all’Olimpico, Roma. La relazione Pisanu riesce a far rivivere il drammatico clima di un Paese sotto un attacco eversivo e stragista che «determinò un tale smarrimento politico-istituzionale da far temere al presidente del Consiglio in carica (Carlo Azeglio Ciampi, ndr) l’imminenza di un colpo di Stato».
E più che fantasmi di futuri leader politici, la relazione è animata da «ombre dei servizi segreti che riappaiono sulla scena»: «Prima fra tutte quella del dottor Lorenzo Narracci, già collaboratore del dottor Contrada, come funzionario del Sisde a Palermo, tuttora in servizio all’Aisi, e a quanto pare indagato a Caltanissetta». Ma non risparmia giudizi, Pisanu, neppure sugli ufficiali del Ros dei carabinieri, il generale Mario Mori e il colonnello Beppe De Donno, che trattarono con Vito Ciancimino: «Una trattativa dai contorni anomali tra Mori e Ciancimino, che forse fu la deviazione di una audace attività investigativa».
Beppe Pisanu rende omaggio alla figura di Gabriele Chelazzi, il magistrato fiorentino che ha speso gli ultimi anni della sua vita a cercare di venire a capo delle indagini sui mandanti esterni alle stragi. Pisanu sposa la sua intuizione, l’idea cioè che le stragi furono finalizzate all’abolizione del 41 bis; alla chiusura di alcune carceri «speciali» (Pianosa e l’Asinara); alla sterilizzazione della normativa sui «collaboratori di giustizia».
Ma in quanti trattarono e per conto di chi? In quella cronologia ragionata sulle stragi che avvengono alla vigilia delle proroghe dei 41 bis ai detenuti mafiosi, Pisanu si sofferma su un episodio poco conosciuto. Dopo le stragi di fine luglio del ”93 (Milano e Roma) e l’annuncio-rivendicazione che le prossime avrebbero provocato centinaia di morti, «imprevedibilmente, tre giorni dopo quella scadenza (di 41 bis, ndr), il 4 e il 6 novembre (1993 ndr), il Ministro di Grazia e Giustizia non prorogò il 41 bis a 140 detenuti nel carcere dell’Ucciardone di Palermo»: «Se ne può desumere che la "trattativa-ricatto" abbia prodotto i suoi effetti tra il 29 luglio e il 6 novembre?».
L’Antimafia di Pisanu è attratta dallo scenario animato da Cosa nostra, logge massoniche, pezzi delle istituzioni deviate: «Fin dall’agosto del 1993 un rapporto della Dia aveva intravisto e descritto "una aggregazione di tipo orizzontale", in cui rientravano, oltre alla mafia, talune logge massoniche di Palermo e Trapani, gruppi eversivi di destra, funzionari infedeli dello Stato e amministratori corrotti. Sulla stessa linea, pur restringendo il campo, il procuratore di Caltanissetta, dottor Sergio Lari, ha sostenuto recentemente che Cosa Nostra non è stata ”eterodiretta da entità altre", ma che al tavolo delle decisioni si siano trovati, accanto ai mafiosi, ”soggetti deviati dell’apparato istituzionale che hanno tradito lo Stato con lo scopo di destabilizzare il Paese... mettendo a disposizione un know-how strategico e militare"». Arriviamo a oggi. Scrive Pisanu: «Cosa Nostra ha forse rinunziato all’idea di confrontarsi da pari a pari con lo Stato, ma non ha certo rinunziato alla politica. Al contrario, con l’espandersi del suo potere economico ha sentito sempre più il bisogno di proteggere i suoi affari e i suoi uomini. Specialmente con gli strumenti della politica comunale, regionale, nazionale ed europea».