GUIDO RUOTOLO, La Stampa 1/7/2010, pagina 9, 1 luglio 2010
CON CORAGGIO HO ALZATO IL VELO SULLE OMBRE DI QUELLE BOMBE
Ciò che l’ha colpito di più della relazione Pisanu, è il coraggio e il senso delle Istituzioni: «Si esprime una rivendicazione alta ed importante delle funzioni e delle responsabilità della politica nella ricostruzione di eventi e relazioni criminali che, pur avendo segnato profondamente la vita della Repubblica, erano state sin qui obiettivamente confinate nella dimensione, tutto sommato limitata ed asfittica, delle indagini e del processo penale».
Giovanni Melillo, oggi procuratore aggiunto di Napoli, per tanti anni da sostituto procuratore nazionale antimafia si è occupato delle stragi mafiose di Firenze, Roma e Milano. E dunque, la relazione Pisanu è materia che conosce molto bene: «Io credo che si possano leggere gli eventi che segnarono la campagna stragista del 1993 senza ricorrere a formule convenzionali che, per quanto fortunate, rischiano di essere fuorvianti: servizi deviati, mandanti esterni e così via. Mi pare che la relazione di Pisanu si sforzi di farlo, avendo ben presente il rilievo politico, anche sul piano internazionale, di quegli eventi».
Procuratore Melillo, Pisanu ricorda che l’allora presidente del Consiglio Ciampi temette il golpe, quando scoppiarono le bombe di Roma e Milano, nel luglio del ”93.
«L’allora Presidente del Consiglio Ciampi diede un immediato segnale di interdizione ad ogni ulteriore manovra di attivazione parlando, dinanzi alla Camere riunite, di "una torbida alleanza" di forze eterogenee ma con comuni obiettivi di destabilizzazione politica. Ma conviene ricordare che già pochi giorni dopo l’attentato di via Fauro, l’ex presidente del Consiglio Craxi aveva immediatamente denunciato che a quell’impresa delinquenziale ne sarebbero seguite altre».
Mani pulite stava picconando i pilastri della Prima Repubblica: che senso avevano quelle bombe di mafia?
«Il Presidente Craxi parlò apertamente di bombe ad orologeria politica, destinate a deflagrare secondo i tempi di una strategia ben difficilmente riconducibile soltanto ad organizzazioni schiettamente criminali come Cosa Nostra».
Una profezia sventurata, come pure si ipotizzò?
«Non credo. Piuttosto, obiettivamente, un segnale di lucida e rassegnata impotenza dinanzi all’imminente scatenamento di forze e progetti criminali che muovevano dalla pretesa di conservare posizioni e ambizioni maturate in altri contesti e che tale pretesa esercitavano ricorrendo a strumentari di sperimentata efficacia terroristica e a persino abusate strategie di depistaggio, con alcune non secondarie varianti, legate al mutamento degli scenari interni ed internazionali».
C’è un prima e dopo di Cosa Nostra che è difficilmente riconducibile a una unica dimensione. E riguarda la scelta degli obiettivi: da uomini-simbolo, Falcone e Borsellino, Lima e Ignazio Salvo, ai monumenti di Firenze, Roma e Milano. Come risolve questo spartiacque?
«Molto si potrebbe dire, ragionando intorno a dati ancora sensibili. Ma non poco può dirsi sulla base di quanto è accertato con sentenze ormai definitive: l’idea di colpire luoghi simbolo del patrimonio culturale italiano fu abilmente inseminata nel gruppo dirigente di Cosa Nostra già a cavallo delle stragi di Capaci e di via D’Amelio e, al di là di ogni considerazione, recepita come un cifrario dei messaggi da affidare alle azioni violente da realizzarsi fuori della Sicilia. Nella logistica delle stragi del 1993 vennero coinvolti molte figure di secondo piano in Cosa Nostra e persino soggetti estranei a questa organizzazione, di fatto creandosi le condizioni ideali per rendere permeabili e persino condizionabili gruppi che avrebbero dovuto invece menar vanto di assoluta segretezza e totale separatezza da contesti ambientali ambigui e come tali più facilmente soggetti a controllo e rischio di infiltrazione».
Questo scenario è animato anche da agenti dei servizi segreti.
«Alcuni dei personaggi chiave di quella stagione all’interno di Cosa Nostra avevano ormai da tempo assunto ruoli di interlocuzione e mediazione nel rapporto con apparati sommersi. Può essere interessante, ad esempio, ricordare l’aperta allusione fatta da Antonino Giuffrè nel corso del processo bis per la strage dell’Olimpico alle "voci" raccolte a proposito dei rapporti dei Graviano con personaggi legati ai servizi di informazione».
Pisanu sottolinea che all’indomani delle stragi, i nostri apparati investigativi ebbero la percezione reale di quel magma incandescente che stava dietro l’offensiva eversiva.
«L’intera campagna stragista si sviluppò senza che gli organismi preposti a garantire la sicurezza della Repubblica potessero dar prova della minima capacità di controllo di così gravi pericoli; anzi, quegli eventi si intrecciarono con altre vicende ancora oscure: i fatti di Saxa Rubra e di via dei Sabini, le imprese della fantomatica Falange armata, le nuove gesta di vecchi arnesi della provocazione politica che improvvisamente riemersero dall’ombra».