PAOLO BARONI, La Stampa 1/7/2010, pagina 3, 1 luglio 2010
UN TETTO ALLE SPESE CHE VALE 15 MILIARDI (+4
schede) -
Su 799 miliardi di euro di spesa pubblica, tolti gli interessi e le spese per il personale restano 84 miliardi di costi dello Stato e 171 miliardi di spese degli enti locali. Tremonti lo chiama «l’albero storto» della finanza pubblica, il «bubbone» vero però è quello della spesa per la sanità, oltre 100 miliardi di euro l’anno (130 con regioni a statuto a statuto speciale), su cui il governo ora vuole intervenire.
E’ l’altra faccia del federalismo fiscale, che «non dovrà costare un centesimo di più di quello che si spende oggi», ma anzi dovrà portare efficienza, qualità dei servizi e (anche) risparmi. Lo strumento per intervenire è quello dei costi standard, che prenderanno il posto dei costi storici: a breve, una volta che sarà varata la riforma, alle Regioni lo Stato non trasferirà più risorse in base alla spesa così come si è consolidata negli anni ma a valori standard elaborati dalla stessa società che si occupa degli studi di settore, la Sose, e fissati incrociando qualità di servizi e prestazioni erogate e costi.
Tac e siringhe... d’oro
La sanità è una delle «anomalie», come le definisce Tremonti nella sua relazione, più macroscopiche. Per giurisprudenza costituzionale, ma anche come prassi a cominciare dagli acquisti di attrezzature. Denuncia il ministro: la stessa Tac a 64 slice, ovvero una delle apparecchiature più costose di cui una Asl può essere dotata, costa 1 milione e 27 mila euro in Emilia Romagna e 1 milione e 370 mila euro nel Lazio con una differenza di 370 mila euro «pari al 36%». Naturale domandarsi perché. Il discorso non cambia se si passa alle spese più minute. Esempio, una siringa da 5 mm: in Sicilia costa 0,05 euro al pezzo, contro gli 0,03 della Toscana. «Quasi il doppio» sottolinea il ministro dell’economia. Assurdo, viene da dire. Non solo, «ci sono ospedali dove i soli costi del personale superano del doppio il valore del servizio prodotto a favore dei cittadini».
Il Lazio doppia il Veneto
Il risultato finale è che in una regione come il Lazio la spesa sanitaria pro capite (3172 euro l’anno) è doppia rispetto a quella del Veneto (1619) ed il 46% più alta della media nazionale (2.175 euro). La Calabria, con i suoi 3110 euro, «costa» un terzo in più di regioni come Emilia (2031 euro) e Toscana (1940 euro), la cui qualità dei servizi è nota a tutti, al pari di quelli erogati dalla Lombardia (2614). E con molta probabilità saranno queste regioni a costituire quel «paniere» che verrà presto preso a riferimento dal governo, i ministri Tremonti e Calderoli di qui alle prossime settimane si apprestano a varare una sventagliata di decreti attuativi, per fissare i futuri costi standard. «Di fatto - scrive Tremonti nella sua relazione approvata ieri - i livelli di assistenza sanitaria in molte Regioni sono alquanto mai disomogenei. Di omogeneo c’è solo che proprio dove si incontrano i maggiori disavanzi economici, minore è la qualità e la sicurezza delle cure rese ai cittadini». Oggi sono 4 le regioni commissariate e 8 quelle impegnate in piani di rientro, solo nel 2007 col decreto salvadeficit lo Stato, che continua a ripianare queste spese a piè di lista, ha stanziato 12,1 miliardi di euro per ripianare i conti in rosso di Abruzzo, Campania, Lazio, Molise, Sicilia. Lo strumento del commissariamento, «introdotto nel 2005, doveva essere l’eccezione ed diventato la regola in una vasta parte dell’Italia».
I risparmi possibili
Adesso stanno per arrivare i costi standard ed i calcoli andranno estesi alle tre funzioni principali assegnate alle regioni, ovvero sanità, assistenza ed istruzione. Applicando un modello di calcolo prende ad esempio per ogni voce la regione «migliore», ed intervenendo su tutte e queste tre voci in teoria si potrebbero produrre risparmi per circa 15 miliardi all’anno. Usando invece un paniere di regioni «virtuose» (Lombardia, Veneto, Emilia e Toscana) si arriverebbe a quota 2,3.
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Tra le tante «anomalie» che emergono mettendo ordine nei conti pubblici e nelle spese degli enti locali i tecnici del Tesoro si sono imbattuti in molte «anomalie» anche in ambito contabile. «In alcune Regioni si sono verificate gravi effettive carenze cognitive sui dati reali di spesa e di bilancio - è scritto nella relazione sul federalismo -. In Calabria (per la verità un’eccezione) è stato ad esempio necessario incaricare una società di revisione esterna per cercare di ricostruire la contabilità, tanto questa era inattendibile. Alla fine, per ottenere un minimo di chiarezza, si sono dovuti chiudere i tavoli di monitoraggio della spesa sanitaria sulla base incredibile di ”dichiarazioni verbali certificate” dei direttori delle Asl». Più in generale, «l’azione degli organismi di revisione, se e dove istituiti, raggiungono comunque raramente un livello accettabile di incisività».
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Anche quando ci sono molte Regioni non riescono a spendere i soldi che hanno a disposizione. Tremonti la chiama «inattività» e punta innanzitutto il dito sugli «interventi speciali» di sviluppo affidati alle regioni meridionali: a fine aprile 2010, circa tre anni e mezzo dopo l’inizio del programma comunitario 2007-2013, risultava speso dall’insieme di tutte le Regioni solo un dodicesimo dei fondi: 3,6 miliardi di euro su circa 44. «Mentre cresceva il volume della ”protesta” contro la riduzione di fondi pubblici - sottolinea il Tesoro - restavano dunque fermi, a disposizione, ma non utilizzati 40,4 miliardi di euro». «Ancora più notevole» è che, alla stessa data, solo un sesto delle risorse totali risultava già impegnato. Non solo: «Anche le informazioni sull’efficacia degli interventi in termini di qualità dei servizi, rilevate per le 8 Regioni del Sud, mostrano i gravi limiti dell’azione compiuta». Si tratta in particolare di servizi essenziali per i cittadini, quali ad esempio i servizi di cura alla persona (bambini e anziani), i rifiuti e l’acqua.
I governo cerca di correre ai ripari e a fine 2009 introduce una sorta di «premio» per le Regioni che mettono a segno «adeguati progressi». Risultato? Solo il 50% delle risorse disponibili per il premio, nonostante tutto, ha potuto essere assegnata. «Particolarmente serio appare (con una sola eccezione) il ritardo di attuazione per i rifiuti urbani e gli asili nido - rileva il Tesoro -. Ancora più indietro è l’utilizzo delle risorse assegnate nel 2000-2006 alle Regioni dal Fondo per le aree sottoutilizzate (circa 21 miliardi)». In questo caso solo il 40% degli interventi regionali è stato realiazzato.
Sintetizza Tremonti: «Tutto ciò vuole dire che, in questi anni, paradossalmente il Sud ha avuto di più e speso di meno. Più il Sud riceveva in termini di dotazioni finanziarie (lasciate in cassa), meno si sviluppava in termini di prodotto interno lordo. Ed è questa una realtà inaccettabile, anche nella prospettiva post 2014, per cui è ragionevole l’attesa da parte del Governo italiano di un ulteriore incremento delle risorse dall’Unione Europea».
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l passaggio delle competenze dal centro alla periferia sull’assistenza è costato almeno 10 miliardi di euro di maggiore spesa per pensioni e indennità. «Per effetto del trasferimento di piene competenze in materia di assistenza sociale il numero degli invalidi civili è quasi di colpo passato dal 3,3% al 4,7% della popolazione. La spesa corrente è quasi di colpo passata da 6 a 16 miliardi di euro - segnala il Tesoro -. Escluso che in così breve periodo di tempo ci sia stata in Italia una mutazione strutturale così forte nella proliferazione su vasta scala di patologie invalidanti, è evidente che la causa del fenomeno è politica. Rispetto alla quale il ruolo non positivo delle Regioni è stato non marginale».
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Uno degli obiettivi della riforma che il governo sta preparando è anche quella di mettere ordine nella giungla delle tasse, stabilendo con chiarezza quali imposte si pagano alle Regioni, quali ai Comuni e quali alle Province e per quali servizi. Oggi il sistema tributario messo al servizio dei governi locali risulta costituito da ben 45 fonti di gettito, stratificate e frammiste a zone grigie che non garantiscono l’effettiva tracciabilità dei tributi «che è condizione indispensabile per attivare la trasparenza nei confronti degli elettori». Ai Comuni - tra l’latro - vanno Ici, Tosap, Tia, imposte su depurazione acque, cartelloni pubblicitari e permessi edilizi; alle Province Ipt, Tosap, Rc auto e addizionale energia; alle Regioni l’Irap e addizionale Irpef ed una quota dell’Iva.